Solitamente quando un film è destinato al successo, si comprende da un buon inizio, capace di attrarre immediatamente lo spettatore e di portarlo al centro della vicenda. Non tutti ricordano, però, quanto importante sia anche l’epilogo. Per confermare un successo, infatti, è necessaria una chiusa perfetta che si amalgami alla perfezione con il ritmo della narrazione portata avanti fino a quel momento o rappresenti una sorta di catarsi per i personaggi. Qualunque sia il suo fine, comunque, la chiusura di una storia deve avere essere costruita con grande attenzione perché, con molta probabilità, sarà l’immagine che rimarrà maggiormente impressa nella mente degli spettatori.
Così, mentre l’inizio ha il compito di accompagnare all’interno di un viaggio emozionale o avventuroso, l’epilogo ha quello di definirne la fine, riassumendo tutte le sensazioni provate fino a quel punto. Non è un caso, dunque, che alcuni film vengono ricordati proprio per quel finale inaspettato o scritto in perfetta sintonia con il resto della vicenda. Scene che sono entrate di diritto nella storia del cinema grazie ad una battuta o ad un’immagine. Entrambe capaci di rimanere impresse per sempre. Ma quali sono questi film? Proviamo a dare una risposta elencando quelli che possono essere definiti i migliori finali di film della storia del cinema, da quello indimenticabile di A qualcuno piace caldo a quelli dei più recenti Drive e La La Land.
1. A qualcuno piace caldo (1959)
Il miglior finale di un film in assoluto è, a nostro parere, quello di A qualcuno piace caldo: sono passati più di sessant’anni dal giorno in cui il film di Billy Wilder ha conquistato il grande schermo e, da qual momento, non ha mai perso tutta la genialità e brillantezza delle sue battute. Al di là dell’intreccio, della caratterizzazione dei personaggi e della conturbante presenza di Marilyn Monroe, il film viene ricordato soprattutto per una sceneggiatura dal ritmo sempre alto e cadenzato, dove giochi di parole, allusioni e freddure sono riusciti a definire la storia in modo così evidente da entrare nella leggenda.
Per chi non lo ricordasse, Joe e Jarry, due suonatori jazz, dopo essere stati testimoni involontari della famosa strage di San Valentino a Chicago, si travestono da donne per fuggire al gangster Ghette, che li vuole mettere a tacere. Nei panni insoliti di Josephine e Daphne, dunque, si uniscono ad un’orchestra tutta femminile dove incontrano la conturbante Zucchero, tanto sensuale quanto ingenua. È amore a prima vista, ma come fare a dichiararsi quando s’indossano gli abiti di una donna? Il “conquistatore” Tony Curtis trova l’escamotage travestendosi da giovane milionario con problemi sentimentali. Da parte sua, invece, ad un irresistibile Jack Lemmon non rimane che accettare la corte di un maturo e libertino milionario nei panni di una volitiva Daphne.
Ed è proprio a loro due che è affidata la chiusura meglio riuscita nella storia di Hollywood. Perché di fronte alla proposta di matrimonio Jerry/Daphne smaschera la sua vera natura di uomo continuando, però, a indossare orecchini con pendenti di brillanti. Da parte sua, però, il tenero Osgood sorprende il perbenista pubblico del 1959 con quell’indimenticabile “ Beh, nessuno è perfetto”. Una battuta che, ascoltandola con attenzione, riecheggia della beffarda risata di Wilder. Certo non pensava che dopo tanti decenni saremmo stati ancora qui a parlarne.
2. Harry, ti presento Sally (1989)
È la commedia per eccellenza, quella che ha mantenuto in vita lo schema della classica screwball comedy e che, al tempo stesso, ha messo in scena le idiosincrasie degli uomini e delle donne senza farne un affare di stato. Tutto questo e molto di più è stato Harry, ti presento Sally che, alla fine del 1989 ha messo nuovamente in collegamento i sentimenti con il genere della commedia regalandoci momenti, scene, battute e personaggi diventati iconici per più di una generazione. Senza dimenticare un finale che in molti sono in grado di recitare a memoria. Ma andiamo con ordine.
Siamo in una New York di fine anni ottanta. La città che tutti abbiamo imparato ad amare dal cinema e che corriamo a ricercare una volta che andiamo a visitarla. Harry e Sally arrivano insieme nella Grande Mela alla fine del college. Dopo un viaggio in macchina condiviso da Chicago, però, le loro strade si dividono sotto l’arco di trionfo a Washington Square. Di due cose sono sicuri: non si piacciono e non saranno mai amici.
Dieci anni dopo, però, i due s’incrociano nuovamente dentro una libreria. Lei ha appena terminato una relazione e lui sta divorziando. Da quel momento inizia tra di loro un rapporto d’amicizia che ha il sapore dell’amore, anche se ancora non lo sanno. Ma quando il sesso entra in scena, le cose si complicano. Lei è consapevole dei suoi sentimenti, lui è ancora in negazione. Ed è qui che entra in gioco il tocco inconfondibile di Nora Ephron che, in sceneggiatura, scrive uno dei finali e delle dichiarazioni d’amore più efficaci nella storia del cinema.
Perché, a dispetto di tutta la logica che possiamo mostrare, non c’è una sola persona che, ascoltando Billy Crystal parlare a Meg Ryan, non abbia desiderato queste parole per sé: “Ti amo quando hai freddo e fuori ci sono 30 gradi. Ti amo quando ci metti un’ora a ordinare un sandwich. Amo la ruga che ti viene qui quando mi guardi come se fossi pazzo. Mi piace che dopo una giornata passata con te sento ancora il tuo profumo sui miei golf, e sono felice che tu sia l’ultima persona con cui chiacchiero prima di addormentarmi la sera. E non è perché mi sento solo, e non è perché è la notte di Capodanno. Sono venuto stasera perché quando ti accorgi che vuoi passare il resto della vita con qualcuno, vuoi che il resto della vita cominci il più presto possibile.” E chi dice il contrario mente.
3. Before Sunset – Prima del tramonto (2004)
Per gli amanti della commedia romantica il nome di Richard Linklater è inevitabilmente legato a doppio filo non a uno ma a ben tre film che, grazie all’interpretazione di Ethan Hawke e Julie Delpy, ha realizzato quella che viene definita la Before Trilogy, ossia un percorso evolutivo sulla coppia ed i sentimenti. In questo modo, dunque, gli spettatori iniziano con Before Sunrise un lungo viaggio con i giovani protagonisti Jesse e Celine che, dopo aver trascorso un’intera giornata insieme a Vienna, all’alba si dividono per riprendere le loro vite. Non sappiamo cosa accadrà di loro e tra di loro fino a quando Linklater non decide, nel 2004, di riprendere il filo del discorso da dove lo aveva lasciato nove anni prima.
Questa volta la scenografia cambia completamente. Da una Vienna Imperiale si passa alla città simbolo di romanticismo per antonomasia: Parigi. Diventato uno scrittore piuttosto famoso, Jesse sta presentando uno dei suoi romanzi all’interno dell’ormai storica libreria Shakespeare & Co. Tra il pubblico c’è anche Celine che, con stupore, si è riconosciuta nel personaggio femminile del libro. In effetti, Jesse ha raccontato proprio la loro storia e quel primo incontro eccezionale. Quando si ritrovano, al termine della presentazione, decidono di passare nuovamente la giornata insieme. Passeggiano per la città, si fanno trasportare dall’andamento lento di un bateau-mouche, con la consapevolezza che non s’incontreranno più.
Il regista, però, ha in serbo un finale diverso. Non si tratta certo di un momento costruito con enfasi o grazie a delle battute ben studiate. La bellezza di questa chiusura risiede proprio nella sua normalità, nella sensazione che tutti potremmo prendere una decisione così immediata e rivoluzionaria sull’onda dei sentimenti. Nonostante i due abbiano dei rapporti in atto e non si vedano da ben nove anni, infatti, nell’arco di una giornata riscoprono che quel sentimento provato e messo da parte è tutt’altro che morto. Ed è per questo che Jesse deciderà di non prendere l’aereo per fare ritorno in America, dove ad attenderlo ci sono una moglie e un figlio.
4. Il matrimonio del mio miglior amico (1997)
“E ad un tratto una nota canzone e tu ti alzi dalla sedia, con movenza leggera, sorpresa, cercando, fiutando il vento come una gazzella. Dio ha ascoltato la tua preghiera: “Cenerentola danzerà ancora?” Ed ecco, all’improvviso, la folla si apre e appare lui, bellissimo, elegante, raggiante nel suo carisma. Stranamente è al telefono ma, del resto, anche tu! Allora viene verso di te con il passo agile di un felino e benché tu a ragione intuisca che è gay, come la maggior parte degli scapoli di sconvolgente bellezza della sua età, ti dici: “Ma che Diavolo, la vita continua. Forse non ci sarà matrimonio, forse non ci sarà sesso ma per dinci, ci sarà almeno il ballo!”
E chi non avrebbe voluto danzare tra le braccia di Rupert Everett dopo aver subito una sonora delusione sentimentale mentre le note di I Say a Little Prayer riecheggiano in una sala affollata? Sicuramente in molti alzerebbero la mano per essere nei panni di una Julia Roberts, fasciata in un abito color malva. Perché, alla fine di tutto, dopo che la vita ti ha maltrattato, non c’è nulla di più consolante e speranzoso che rifugiarti accanto ad un amico che ti conosce meglio di chiunque altro. Non è un caso, dunque, che P. J. Hogan abbia deciso di terminare in questo modo una commedia che si guadagna un posto tra i film romantici più visti ed amati.
La protagonista è Julianne Potter, una giovane critica gastronomica ma molto temuta dall’ambiente. Autonoma, dalla personalità dominante e con una certa idiosincrasia agli impegni sentimentali a lungo termine, sembra avere una vita perfetta che le si addice in ogni aspetto. Quest’armonia che la soddisfa, però, viene interrotta dalla notizia dissonante del matrimonio del suo migliore amico.
Michael, infatti, è molto importante per Julianne. Si tratta di un amore del college che, dopo una veloce fine, lei ha sempre continuato a coltivare in modo diverso, considerandolo una sua proprietà affettiva. Così, quando le annuncia di voler sposare la giovane Kimmy, scopre di provare ancora qualche cosa per il ragazzo e decide di fare del tutto per fermare questo matrimonio. Ci riuscirà? Ovviamente no. Dermot Mulroney e Cameron Diaz convolano a nozze, mentre Julia si consola in un ballo con Rupert.
5. Toy Story 3 (2010)
Nella storia del cinema probabilmente non esiste un’animazione che è entrata nel cuore del pubblico più di Toy Story. Primo grande successo della Pixar, è riuscito a replicarsi in una vera e propria saga in cui i giocattoli di Andy sono i protagonisti assoluti. A fare di questo progetto un’esperienza tanto amata è soprattutto quel senso di appartenenza e comunione che lega i protagonisti tra di loro. Oltre a questo, poi, Toy Story ha avuto e possiede ancora il potere di far ritornare anche il pubblico adulto agli anni dell’infanzia, facendo rivivere quegli infiniti pomeriggi trascorsi a inventare avventure incredibili con i giocattoli preferiti.
Nonostante queste caratteristiche accomunino tutti i diversi capitoli realizzati fino a questo punto, il terzo, Toy Story 3 – La grande fuga è quello che vanta il finale migliore in termine di emozione e significato. Per Andy, infatti, l’età dei giochi sembra proprio essere finita. A diciassette anni e prossimo al college, viene spinto dalla madre a ripulire la sua stanza dagli oggetti inutili. Il legame con i suoi vecchi amici, però, non gli consente di separarsene fino in fondo. Per questo motivo decide di riporli in soffitta, fatta eccezione per il fedele Woody che verrà al college con lui. Ma, come sempre, nella vita di Buzz Lightyear, Jessie, Mr. Potato, Mrs. Potato, Slinky, Rex e Hamm le cose non vanno come programmato.
Per un errore finiscono tra i giochi di un asilo nido, dove vengono bullizzati dall’orso Lotso. Inutile dire che riusciranno a fuggire unendo le loro forze. Tutto per arrivare a un epilogo in cui i fazzoletti sono d’obbligo. In poche scene, infatti, la Pixar racconta il distacco dal passato e l’entrata verso l’età adulta. Un allontanamento difficile che Andy affronta regalando i suoi giochi a Bonnie, una bimba del quartiere. Un suggerimento che arriva proprio dall’inseparabile Woody. In questo passaggio di consegne, dunque, c’è racchiuso tutto il senso di un nuovo inizio, sia per il ragazzo che per i suoi giochi, e la consapevolezza di un amore che non si esaurirà mai.
6. Inception (2010)
E dopo finali romantici, irriverenti, divertenti, emotivi e moderni siamo arrivati anche a quello ermetico o imperscrutabile. Si racconta, infatti, che durante la promozione di Inception, Christopher Nolan abbia ricevuto da parte della stampa molte richieste per spiegare il finale (a cui anche noi abbiamo dedicato un articolo cercando di dare risposta ai tanti interrogativi sollevati). Anche solo per questo, dunque, si merita di essere presente in questa lista. Uscito al cinema nel 2010, il film si muove attraverso lo schema di un thriller onirico, se così lo possiamo definire. Di fatto i protagonisti si spostano di sogno in sogno con il compito di innestare un ricordo nell’erede di una potente società che fornisce energia e per farlo devono architettare un multistrato onirico.
Il pericolo, però, è quello di perdersi in un limbo senza capire più quale sia la realtà. Così, facendo ben attenzione a non perdere particolari essenziali dei dialoghi e dell’azione, si segue un cast realmente stellare formato da Leonardo DiCaprio, Joseph Gorgon-Levitt, Tom Hardy, Marion Cotillard, Cillian Murphy, Ken Watanabe, Michael Caine e Ellen Page fino ad arrivare al finale e a l’immagine di quella trottola che ha dato adito a molte interpretazioni.
La questione sul tavolo ancora oggi è se il personaggio interpretato da Leonardo DiCaprio sia rimasto intrappolato nei vari livelli onirici o sia riuscito a tornare dai suoi figli. Nell’ultima scena lo vediamo entrare in casa, accolto dal suocero interpretato da Michael Caine, far girare la trottola ed abbraccia i bambini. Ma si tratta di realtà o di sogno? A risolvere l’arcano è lo stesso Caine che, anche lui confuso durante le riprese, ha chiesto spiegazioni a Nolan. Sembrerebbe che, a quel punto,
il regista gli abbia rivelato che quando lui si trovava in scena quella era la realtà. Nonostante questo, però, c’è ancora chi sostiene la teoria del sogno, visto che i bambini sono vestiti, più o meno, nello stesso identico modo in cui li abbiamo visti nelle diverse trasposizioni oniriche. Qualunque sia la verità, però, va un plauso a Christopher Nolan che è riuscito a costruire un finale tanto indimenticabile da parlarne ancora oggi.
7. Drive (2011)
Siamo onesti, il film di Nicolas Winding Refn è una delle pellicole più iconiche degli ultimi dieci anni. Certo, molto si deve al romanzo omonimo di James Sallis, ma è il regista che, insieme all’interpretazione di Ryan Gosling, è riuscito a definire l’estetica e l’atmosfera di questa storia. Non fosse altro che per quel giubbotto con lo scorpione sulla schiena diventato l’oggetto del desiderio per molti cinefili. A tutto questo, poi, si aggiunge un finale aperto con un cavaliere moderno che, nonostante sia gravemente ferito, si allontana nella notte dopo aver messo in salvo la donna di cui è innamorato.
Un antieroe senza nome che nel film viene chiamato semplicemente pilota. Per vivere fa il meccanico e lo stuntman cinematografico a Hollywood. Per arrotondare, poi, si presta come autista per alcuni rapinatori di banche. Il suo sogno, però è di diventare un pilota professionista e di correre nella NASCAR. A sconvolgere la sua quotidianità silenziosa arriva l’incontro con Irene, una giovane donna che vive sola con il figlio da quando il marito è in prigione. I due abitano nello stesso palazzo e per l’uomo è impossibile non innamorarsi di lei.
Di poche parole e consapevole dei limiti di questo sentimento, non rivela ciò che prova ma, quando il momento lo richiede, non tarda a mostrare gli effetti di questi sentimenti. Dopo che Irene e suo figlio hanno subito delle minacce dalla mafia a causa dei debiti del marito e del suo rifiuto di ripagare la protezione ottenuta con una rapina, decide di agire. Ed è a questo punto che il pilota affronta la banda di malavitosi cui è solito prestare la sua abilità al volante. Un confronto che, come abbiamo già detto, lo porterà a un finale sospeso carico di pathos e in grado d’inserirlo di diritto nel pantheon degli eroi.
8. Collateral (2004)
Ancora malavita ma, questa volta, firmata da Michael Mann. Presentato alla 61.esima edizione del Festival di Venezia ed interpretato da Jamie Foxx e Tom Cruise, racconta una lunga notte in taxi di un autista, Max, ed un sicario, Vincent. A fare da sfondo la notte losangelina che, avvolta in un’immobile oscurità, si trasforma in un panorama angosciante. Qui, all’interno di un taxi, viene costruito il dialogo serrato tra due uomini che interpretano la vita in modo completamente diverso.
Così, dopo essere stato preso praticamente come ostaggio da Vincent e aver assistito a quattro assassini, Max tenta il tutto per tutto pur di fermare il killer nel compiere l’ultimo. L’unica soluzione sembra essere schiantarsi con il taxi. Nonostante questo, però, Vincent sopravvive e riesce a fuggire per mettere in atto il suo ultimo assassinio. Da parte sua Max scopre che la vittima designata è Annie, una donna incontrata all’inizio della serata. Nel tentativo disperato di salvarla, dunque, si arma della pistola abbandonata dal suo passeggero e lo insegue.
Lo scontro finale arriva sulle rotaie della metropolitana. Mann lo costruisce come un moderno western con un’anima action, ma anche molto filosofica. In questo faccia a faccia all’ultimo sangue dona a Tom Cruise una delle interpretazioni più intense e regala al pubblico il privilegio di un finale cruento e poetico allo stesso tempo. Dopo uno scontro a fuoco senza mezzi termini, il killer si accascia sul sedile del treno e muore silenziosamente, quasi addormentato nell’indifferenza generale.
9. Melancholia (2011)
Il cinema di Lars von Trier non lascia mai indifferenti e tanto meno lo ha fatto questo film. Presentato al Festival di Cannes nel 2011, ha regalato a Kirsten Dunst il premio per la miglior interpretazione femminile e al pubblico uno stato d’angoscia degno di una crisi di panico universale. In effetti, sembra che il film sia nato proprio in seguito a un episodio di depressione vissuto dallo stesso regista. Per questo motivo, dunque, non solo viene descritta un’umanità spesso narcotizzata o comunque vinta dagli eventi esterni ma, soprattutto, l’incombenza della fine del mondo.
La vicenda si divide tra due sorelle, Justine e Claire. La prima, durante il giorno del suo matrimonio sembra impazzire, perdendo ogni riferimento e direzione. Da parte sua Claire cerca di aiutarla portandola a casa con sé e la sua famiglia. Nel frattempo, però, una minaccia ben più concreta arriva a mettere in discussione le vite di tutti. La meteora Melancholia, infatti, potrebbe entrare in collisione con la terra, distruggendo tutto.
Ovviamente si tratta di un’immagine simbolica creata dal regista per descrivere quanto lo stato di melanconia possa essere devastante per l’animo umano. Non è un caso, infatti, che i suoi protagonisti inizino a perdere il controllo, non riuscendo a gestire la sensazione di panico. Il finale, dunque, non poteva che essere apocalittico. Chi è sopravvissuto all’attesa, prova a rifugiarsi sotto il vago riparo delle proprie speranze, ma è destinato a essere spazzato via dall’impatto. Un finale non certo rassicurante, ma che ha il merito di rimanere negli occhi e nell’anima di chi lo ha visto.
10. Before Midnight (2013)
Terzo capitolo della Before Trilogy di cui abbiamo già parlato, questo film racconta l’ultimo step evolutivo della coppia formata da Jessie e Celine. In questo caso, però, li ritroviamo stanchi, più spenti, abituati al loro rapporto. Il romanticismo dei due capitoli precedenti sembra essere scomparso. La quotidianità e la complicata gestione di una famiglia allargata mettono a dura prova la coppia che, durante una vacanza in Grecia, mostra i segni di una crisi che potrebbe essere senza ritorno. Su di loro, infatti, pesa il senso di colpa che Jesse sente nei confronti del figlio adolescente avuto dalla prima moglie e “abbandonato” per seguire il suo amore per Celine. Un sentimento che è fonte di liti sempre più numerose tra i due, fino a quella che sembra essere definitiva.
Ed è a questo punto che Linklater, dimostrando una sensibilità particolare come narratore dei sentimenti, scrive uno dei finali più romantici ed efficaci della storia del cinema. Nell’estremo tentativo di non perdere la donna che ama, Jesse si presenta a lei come se venisse dal futuro. Si descrive ancora come il ragazzo romantico di cui Celine si è innamorata molto tempo fa. A mandarlo da lei è la Celine del futuro che, in questo modo, la invita a non lasciarsi sfuggire un amore concreto e reale anche se non ideale. In questo modo, dunque, il regista trasporta i suoi personaggi e il pubblico nell’età adulta dove l’amore è tale anche se imperfetto.
11. Whiplash (2014)
Se c’è un film che riesce a sommare e fondere tra loro passione e ossessione, impegno e masochismo questo è sicuramente quello di Damien Chazelle. E lo fa grazie anche a un finale capace di riassumere perfettamente quanto mostrato nel film fino a quel momento, creando un pathos e una sospensione temporale che segue il ritmo cadenzato e creativo di un brano jazz. Così, due anni prima dei trionfi di La La Land, il regista scava nelle proprie esperienze passate da musicista, riprende in mano un cortometraggio poco riuscito e lo trasforma nel film in grado di accendere i primi riflettori su di lui. La storia del giovane Andrew Neiman, del suo rapporto intenso con la musica e dello scontro con l’inflessibile Terence Fletcher, viene completamente sublimata proprio in quello che può essere definito il gran finale.
Oltre a riflettere sul sacrificio di una vita dedita all’espressione artistica e alla ricerca della perfezione, il film ci consegna un epilogo emozionante in grado di mantenere lo spettatore con il fiato sospeso. Attraverso il palcoscenico, l’uso della batteria e l’esecuzione di Caravan, uno dei brani più complessi, si assiste a un duello, un confronto serrato di personalità tra Miles Teller e J. K. Simmons. All’inizio l’atmosfera è tesa e in palio c’è l’affermazione di se stessi contro un sistema d’insegnamento e una filosofia di vita ai limiti dell’abuso psicologico.
Con lo scorrere del tempo e di fronte alla bravura dimostrata dal giovane allievo, tutto si trasforma e il contrasto diventa un dialogo a due, dove l’insegnante si esalta di fronte al talento che è riuscito a stimolare. Andrew, infatti, non solo dimostra di essere un esecutore di alto livello, ma anche di aver trovato un carattere, una propria voce grazie alla quale potersi esprimere con o senza la musica. Un finale, dunque, che vale tutto il film.
12. La La Land (2016)
È stato il fenomeno cinematografico del 2015. Non c’è spettatore, critico e giornalista che non abbia parlato o citato La La Land almeno una volta. Per Damien Chazelle, poi, ha rappresentato il film delle conferme, la pellicola grazie alla quale è riuscito ad affermare il talento già mostrato con Whiplash. Non è un caso, dunque, la pioggia di premi che è arrivata. Sei Oscar, tra cui miglior regista e miglior attrice protagonista per Emma Stone, e sette Golden Globes, di cui uno attribuito a Ryan Gosling come miglior attore protagonista sono solo una parte dei riconoscimenti ottenuti.
Ma cosa ha reso così speciale questo film? Gli elementi che hanno concorso a questo successo sono stati sicuramente molti e diversi. Tra tutti l’impianto musicale, che determina con naturalezza l’atmosfera generale e la caratterizzazione dei personaggi, l’interpretazione dei due protagonisti e la narrazione di una storia d’amore struggente. Oltre a questo, però, un ruolo fondamentale lo ha avuto anche il finale, scritto e gestito come una chiusa poetica e romantica.
Sono passati cinque anni da quando Mia ha affrontato il provino spinta da Sebastian. La consapevolezza di poterla sicuramente perdere, infatti, non ha messo a tacere il desiderio di vederla realizzare i suoi sogni. E, effettivamente, ha raggiunto la fama desiderata. Ma anche lui è riuscito ad aprire il suo club jazz chiamato “Seb’s”, con lo stesso logo che la ragazza aveva ideato anni prima quando erano insieme. Una sera Mia si reca in questo locale senza aver idea di trovarlo. Accanto a se c’è suo marito, ma quando si siede al tavolo e lo sente suonare il loro tema d’amore la sua mente torna indietro al passato.
Non si tratta di un semplice esercizio della memoria, però. Chazelle, piuttosto, costruisce un percorso di revisione della storia partendo dal “ e se fossimo rimasti insieme”. In quel modo viene definita una realtà altra, quella definita dall’happy ending che dovrebbe caratterizzare qualsiasi film appartenente al genere la la land. Ma la realtà è diversa e vede Mia uscire dal locale con un altro uomo voltandosi indietro solo per un attimo infinito.
13. Rogue One (2016)
Nel corso degli anni il complesso universo di Star Wars è diventato sempre più sfaccettato e complesso. Tra nuove trilogie, spin-off e prequel, riuscire a dare un corpo unico a tutto questo materiale non è semplice. Tra tutti i progetti portati sul grande schermo negli ultimi tempi, però, quello che ha ottenuto maggior successo e ha ricevuto l’apprezzamento degli appassionati è Rogue One. Diretto da Gareth Edwards, rappresenta il film perfetto, per atmosfere e messaggio, da unire alla prima , storica trilogia.
Fulcro di questa vicenda, infatti, è la Morte Nera, la sua costruzione e i famosi piani che troviamo già rubati durante Star Wars – Una nuova speranza. Quest’arma di distruzione, infatti, si erge come simbolo del mondo libero. Per questo motivo la resistenza e i ribelli vedono nella sua distruzione l’unico modo per mantenere ancora viva la possibilità di un mondo nuovo.
Da questo punto di vista, dunque, il finale drammatico, che si discosta completamente da quelli più speranzosi degli altri capitoli, non solo risulta essere innovativo ma, al tempo stesso, è necessario proprio per permettere alla rivolta d’intensificarsi. Jyn e Cassian, diventato ora protagonista della serie Andor su Disney+, muoiono abbracciati travolti dall’esplosione di Scarif per diventare un simbolo, delle figure eroiche il cui sacrifico contribuisce a rendere ancora più intenso il desiderio di futuro e di una nuova speranza.
14. Nuovo cinema paradiso (1988)
Era il 1988 quando un giovane Giuseppe Tornatore portò l’Italia alla notte degli Oscar riuscendo a vincere il premio come miglior film straniero. Un risultato che, successivamente, avrebbe raggiunto anche Salvatore con Mediterraneo, La vita è bella di Benigni e, ovviamente, Sorrentino con La grande bellezza. Al di là dei riconoscimenti personali, però, il film di Tornatore ha avuto il merito di raccontare una storia profondamente italiana che lega l’uomo alle proprie origini, anche se poi ci si allontana fisicamente da queste.
In questo particolare viaggio della memoria, però, il ruolo delle madeleine proustiane viene preso dal cinema e, in modo particolare, dalla magia delle emozioni create. Tornando in Sicilia a Giancaldo come un regista affermato, Salvatore Di Vita ripercorre alcuni momenti della sua infanzia vissuta nel secondo dopo guerra. In modo particolare, ad animare le sue giornate, è il Cinema Paradiso, la sala dove lavora Alfredo, un uomo semplice che svolge il ruolo di proiezionista. Rannicchiato all’interno della sua cabina, il ragazzino passa il tempo a guardare in sala le diverse storie che passano sul grande schermo.
Tutte, però, rigorosamente censurate dal parroco, che ha imposto di tagliare ogni singolo bacio. Dopo un incendio in cui Alfredo rischia la vita, il cinema viene ricostruito proprio con il nome di Nuovo Cinema Paradiso. Qui il giovane Totò decide di prendere il posto del suo amico come operatore, fino a che non sarà lo stesso Alfredo a spingerlo a seguire i suoi sogni e a partire per Roma. In questa narrazione catartica che, probabilmente, racconta molto dello stesso Salvatores, il regista ci regala un finale dolce, emozionante e profondamente legato al suo amore per il cinema. Stiamo parlando, ovviamente, di quell’indimenticabile proiezione di tutti i baci tagliati durante gli anni e che ora tornano a rivivere sullo schermo del Nuovo Cinema Paradiso.
15. Star Wars – Gli ultimi Jedi (2017)
Secondo capitolo dell’ultima trilogia legata alla saga di Guerre Stellari, nasce per dare al personaggio di Luke Skywalker una funzione essenziale all’interno dell’evoluzione e della scoperta della forza di Rey. Oltre a questo, poi, il film ha anche lo scopo di concludere l’arco narrativo del personaggio intorno al quale è stata costruita gran parte della mitologia di Star Wars. Non prima, però di aver dato nuovo significato al suo essere Jedi. Dopo aver fallito l’addestramento di suo nipote Ben, infatti, Luke si è ritirato in solitudine scomparendo dal mondo e diventando una sorta di leggenda impalpabile.
Solo l’arrivo di Rey riesce a riportarlo alla vita e all’azione. Preparare la ragazza a comprendere e gestire la Forza diventa l’essenza della sua vita proprio come Yoda aveva fatto con lui anni prima. A pesare sulla coscienza di Luke, però, è la consapevolezza di aver desiderato di uccidere il giovane nipote, spaventato ancora una volta dalla forza del lato oscuro. Una volta venuto a patti con se stesso, però, Skywalker decide di ritornare a servire la resistenza, anche se solo con la sua proiezione mentale. Uno sforzo che esaurisce la forza vitale portandolo a spirare e svanire come era successo precedentemente ai suoi maestri. Un finale, dunque, che merita di essere ricordato perché segna la definitiva uscita di scena dell’eroe che lascia spazio a tutto ciò che verrà dopo di lui.
16. Parasite (2019)
Il film di Bong Joon-ho può essere considerato la pellicola dei record. Si tratta, infatti, della prima opera sudcoreana ad aver vinto la Palma d’Oro ed anche la prima a vincere ben 4 Oscar, tra cui miglior film. Un titolo, questo, che non era mai stato assegnato a un film in lingua non inglese. Alla base del suo successo c’è una storia che è riuscita a fondere tre elementi diversi come una commedia nera, il thriller incalzante e la critica sociale. Nonostante i consensi ottenuti a livello internazionale, però, il regista è sempre stato convinto che la sua storia non potesse essere compresa fino in fondo dal pubblico occidentale. E, effettivamente, il finale ha sempre lasciato qualche dubbio.
Ricordiamo che le sequenze più intense portano il pubblico all’interno della sontuosa casa dei Park in cui si è consumata una vera e propria strage. Superstiti di questa sorta di accoltellamento a catena sono Ki-woo Kim e la madre, mentre il padre sembra svanito nel nulla. Così, dopo un processo per i loro atti criminali ai danni della famiglia Park, i due tornano a vivere nella piccola casa nel sottoscala da cui tutto è iniziato. Quello che non sanno, però, è che il padre è rimasto nascosto nella villa e continua a vivere li, nonostante l’arrivo di nuovi proprietari. Ki-woo, alla fine, scopre la verità grazie a un messaggio in morse del padre.
Ed è a quel punto che il regista costruisce un finale straziante legato alle condizioni economiche del suo paese. In un alternarsi di riprese, contrappone il sogno alla realtà, il desiderio di tornare in quel luogo da proprietario e le lacrime della consapevolezza. La stessa che lo riconduce alla sua condizione e che lo fa sentire destinato a un futuro di miseria.
17. Thelma e Louise (1991)
È stato uno dei film simbolo degli anni Novanta nonostante Ridley Scott non si sarebbe mai immaginato di segnare così profondamente la narrazione dedicata al mondo femminile. Sta di fatto che la coppia formata da Susan Sarandon e Geena Davis ancora oggi rappresentano la ricerca della liberà, il diritto ad imporre se stesse contro una società fortemente maschile e, soprattutto, maschilista. Certo, alcuni potrebbero affermare che non ci troviamo certo di fronte a un finale positivo, ma quella famosa corsa verso il canyon con conseguente caduta nel nulla, fermata nel momento cruciale, rappresenta un vero e proprio grido di disperazione e autoaffermazione allo stesso tempo.
Perché i personaggi di Thelma e Louise sono la rappresentazione di una femminilità abusata che, dopo aver subito per l’ennesima volta, cercano una via d’uscita. Ricordiamo, inoltre, che si tratta di un film e di un finale legato profondamente alla condizione storico sociale dei primi anni novanta nella realtà degli stati del sud. Una condizione che, probabilmente, è andata cambiando, anche se non così nettamente.
18. I 400 colpi (1959)
Opera prima di François Truffaut, questo film segna anche la nascita del movimento della Nouvelle Vague. Uno stile che ha dato vita e forma a gran parte della cinematografia francese dagli anni Sessanta. Al di là della sua successiva collocazione in una determinata corrente, questa pellicola rappresenta soprattutto il frutto di un’esperienza personale di cui il regista ha portato i segni dentro di sé per il resto della vita. Attraverso il personaggio di Antoine Doinel, alter ego del regista stesso, Truffaut descrive la condizione e quel senso di solitudine che investe un’infanzia invisibile al mondo degli adulti.
Una sensazione che comprende e conosce perfettamente, avendola vissuta sulla propria pelle. Per questo motivo, dunque, attraverso l’interpretazione Jean-Pierre Léaud il regista racconta se stesso, infondendo in ogni singola inquadratura una sorta di sofferenza silenziosa che attraversa lo schermo. Indimenticabile soprattutto il finale in cui Antoine, rinchiuso dai suoi genitori in riformatorio per impartigli una lezione, fugge con i suoi compagni durante una partita di pallone. La meta è il mare che lo accoglie sorprendendolo con tutta la sua vastità. Mentre le onde rumoreggiano, Antoine guarda in camera verso gli spettatori ed è con questo fermo immagine che Truffaut conclude il suo racconto. Con uno sguardo carico di dolore ma privo di retorica. Un sguardo che somiglia incredibilmente al suo.
19. Il laureato (1967)
L’interno di una chiesa, invitati ben vestiti tutti ai loro posti e, vicino all’altare, una giovane coppia che sta per sposarsi. Ad un certo punto, però, questo quadro all’apparenza idilliaco, viene interrotto dalle grida di un giovane uomo che, sbattendo le mani su di una vetrata implora la ragazza di non sposarsi. Questo è, senza alcun dubbio, uno dei finali più famosi della storia del cinema che ha consegnato Dustin Hoffman alla fama cinematografica. Il film, ovviamente, è Il laureato, diventato un vero cult e, oltretutto, simbolo di una generazione che, ancora influenzati dalle aspettative delle proprie famiglie, fatica a trovare una via da percorrere in modo autonomo.
Correva l’anno 1967 e Mike Nichols decise di portare sullo schermo proprio il ritratto di una borghesia incastonata nelle proprie sicurezze che, di lì a qualche anno, avrebbe visto cambiare completamente il mondo intorno a sé. Per questo motivo, dunque, il film è permeato già di un senso di stanchezza. La stessa che sembra appesantire anche le azioni dei più giovani.
Questi, viziati dal benessere in cui sono cresciuti e abituati a non prendere una decisione propria, si trovano impauriti anche di fronte ai propri desideri, insicuri di aver preso la decisione giusta. Un sentimento che il regista riassume perfettamente nell’ultima inquadratura in cui Benjamin e Elaine, dopo essere scappati insieme ed essersi rivolti un primo sguardo d’intesa, sembrano perdere ogni certezza, pervasi già da una sorta di stanchezza atavica.
20. I soliti sospetti (1995)
Quando nel 1995 usci sugli schermi I soliti sospetti, diretto Bryan Singer, due cose furono immediatamente chiare: Kavin Space era dotato di un talento incredibile e ci si trovava di fronte ad uno dei colpi di scena più incredibili visti fino a quel momento. Non è un caso, dunque, se il finale di questo film è rimasto ancora nell’immaginario di molti e merita una citazione.
In realtà, ci si trova di fronte a un film che, per tutta la sua durata, non fa altro che tessere una trama capace di portare proprio a vivere quel momento finale come una sorta di epifania, di rivelazione sconvolgente. Oggi, con il senno di poi, potremmo dire quanto fosse chiaro che la parte del criminale tanto ricercato fosse del personaggio meno sospettato o con le credenziali più fragili.
Sta di fatto che la sceneggiatura è costruita con un’attenzione tale nei confronti di tutti i particolari da evitare qualsiasi trabocchetto. Perché è un dato di fatto che il misterioso e potente Keyser Söze sia Verbal, all’apparenza zoppo e con problemi di apprendimento, ma il gioco è portare lo spettatore a comprenderlo solo nelle ultimissime immagini. Così, quando vediamo Kevin Spacey uscire dall’interrogatorio come uomo libero smettendo di zoppicare e acquisendo la postura di un uomo potente, si scopre di essere stati vittima di un inganno e ne siamo felici.
21. C’era una volta in America (1984)
Se c’è un film di Sergio Leone intriso di sentimenti e in grado di emozionare in modo diverso attraverso la lunga durata della narrazione, questo è sicuramente C’era una volta un America. Basta andare a Brooklyn, trovare il famoso scorcio con il ponte per provare un sussulto e comprendere quanto quel racconto sia parte della nostra sfera emozionale. Ma cosa ha reso questa pellicola effettivamente tanto indimenticabile? Sicuramente la struttura narrativa concepita come un viaggio generazionale all’interno del quale far dialogare romanticismo e passione, drammaticità e desiderio di futuro. Elementi tra di loro contrastanti ma che si fondono alla perfezione nel personaggio di Noodles, interpretato da Robert De Niro.
Ad aumentare il suo fascino, però, contribuisce soprattutto un finale carico di significati e, soprattutto, di misteri. Dopo aver scoperto che il personaggio di Max si cela dietro le vesti del Senatore Bailey ed essere venuti a corrente dell’inganno ai danni di Noodles, si rimane in sospeso per un finale malinconico e, al tempo stesso misterioso. In una strada avvolta nell’oscurità della notte si vede passare un camion della spazzatura mentre una figura esce dalla casa del Senatore. A quel punto si sente solo il rumore dello sferragliare delle lame che tritano i rifiuti mentre la misteriosa ombra sembra essere svanita nel nulla. Sarà stato Max che, in un ultimo atto di disperazione, considerando la propria vita finita, si è gettato all’interno del camion in un suicidio che non ha il sapore della redenzione? Ancora oggi è un mistero irrisolto.