Beau ha paura è il terzo lungometraggio di Ari Aster, enfant prodige dell’horror statunitense. Ma se i primi due lavori del regista, che sono Hereditary e Midsommar, all’horror si accostavano e facevano dell’indagine al folklore la chiave di volta del loro racconto, Beau ha paura fa un passo di lato. Decade il senso dell’orrorifico in senso stretto e si abbraccia il grottesco come anticamera di una riflessione sulla mancanza, il senso d’oppressione e le complicazioni nei rapporti figlio-genitore.
Un film che torna quindi ad esplorare le dinamiche all’interno del contesto familiare, che per Aster è sempre il nucleo dove proliferano tutte le storture della vita. Da lì si origina una storia allucinata e allucinante tanto attesa dai fan del regista, piena di stalli, svolte e anche perplessità di cui vi abbiamo già parlato nella nostra recensione del film. Addentriamoci spiegazione del finale di Beau ha paura.
Di cosa parla Beau ha paura?
Diamo una doverosa contestualizzazione. Al centro del film c’è Beau, un uomo di mezza età che troviamo per la prima volta durante una seduta con il suo psicoterapeuta (Stephen McKinley Henderson). A prestargli anima e corpo è Joaquin Phoenix, nell’ennesima convincente prova attoriale che anche in questo caso gli chiede di non risparmiarsi. Beau, infatti, è costantemente accerchiato dalle sue fobie. Non riesce a guardare dalla finestra, uscire di casa o andare a fare la spesa senza che il mondo che lo circonda gli appaia come un luogo ostile e terrificante.
Vive da solo in uno spoglio appartamento. È in contatto costante con sua madre Mona (Patti LuPone), facoltosa e rinomata donna d’affari, che deve andare a trovare in occasione dell’anniversario della morte del padre di Beau; questo è morto diversi decenni prima, secondo Mona durante l’esatto momento in cui l’uomo ha avuto l’orgasmo che poi ha portato a concepire il figlio. Stando sempre alle parole della donna, si tratta di una malattia genetica che affliggerebbe anche Beau.
A causa di una notte insonne, Beau perde però l’aereo. Durante il disperato tentativo di rimediare e trovare una soluzione, l’uomo riceve una telefonata dal cellulare di sua madre. Dall’altro capo della linea a rispondere è però un corriere UPS: a quanto pare Mona è stata rinvenuta morta.
L’Odissea allucinata e allucinante di un uomo
Da qui si origina un viaggio che assume i contorni di una vera e propria Odissea. Beau deve riuscire in tutti i modi a raggiungere casa di sua madre in tempo per il funerale. Il mondo, però, sembra voler remare contro ogni sua intenzione. Quando riesce a lasciare con estrema fatica il suo appartamento, l’uomo viene investito e perde conoscenza. Capita più volte all’interno del film che Beau svenga, e in questi momenti ci vengono rivelati piccoli frammenti del suo passato che ci svelano tasselli del puzzle con i quali ricostruire la vita castrata del protagonista.
Tra le prime cose scopriamo che da piccolo, durante una crociera, ha incontrato Elaine, ragazzina con la quale era nata una simpatia sotto la rigida sorveglianza di sua madre. Poco prima che le loro strade si separassero, i due si baciano e promettono di attendersi l’uno con l’altro. Al risveglio, cose davvero strane continuano a infestare il viaggio di Beau. Beau ha paura, più dei precedenti film di Aster, è una grande allegoria a cielo aperto. Probabilmente meno raffinata e più a grana grossa di quanto si possa pensare, ma è secondo questa lente che molte delle cose che accadono possono essere lette e forse comprese.
La prima situazione in cui Beau si ritrova contro la sua volontà è quella di un paziente accudito in casa di una famiglia composta dai coniugi Grace (Amy Ryan), Roger (Nathan Lane) e Toni (Kylie Rogers). Si trova qui perché lo avevano inavvertitamente investito il giorno prima e Roger è un medico. La coppia promette di portare Beau al funerale della madre il prima possibile, ma continua a rimandare e la situazione degenera rapidamente. La famiglia è ancora in lutto per la perdita del primogenito, Nate, mentre al contempo ospita anche Jeeves (Denis Menochet), reduce di guerra e commilitone di Nate affetto da violenti attacchi psicotici. Beau riesce a fuggire dopo che Toni si suicida ingoiando della vernice e, accusato da Grace, si ritrova con Jeeves che parte al suo inseguimento.
Dov’è la verità?
Beau raggiunge un campeggio allestito a teatro nel mezzo di un bosco. La comunità si fa chiamare “Orfani della foresta” e performa una messa in scena di cui Beau pare sentirsi come protagonista-spettatore. Vede tutto il corso di una vita adulta e compiuta di cui però non è stato per davvero partecipe, teso a metà tra il sognante e l’allucinazione. Il tutto si interrompe nel momento in cui a lui si accosta un uomo che gli consegna una rivelazione sbalorditiva: suo padre sarebbe ancora vivo.
Ma nell’istante in cui Beau tenta di ricavare maggiori informazioni, nella comunità fa irruzione Jeeves, che aveva seguito Beau grazie a una cavigliera fatta indossare da Roger al protagonista durante la convalescenza. Qui l’ex soldato inizia a uccidere tutti per poi far esplodere il palcoscenico. Beau riesce a fuggire, ma sviene di nuovo quando la cavigliera va in cortocircuito. Una nuova visione emerge dal passato: il piccolo Beau continua a domandare a sua madre la verità su dove sia finito il padre, con Mona che gli risponde di aver sempre detto la verità. La risposta si cela in soffitta.
Cosa si nasconde in soffitta?
Arriviamo ad addentrarci nella spiegazione del finale di Beau ha paura. Dopo tutti questi sforzi, Beau riesce a ottenere un passaggio per Wasserton, la cittadina dove viveva sua madre. Arriva però troppo tardi, il funerale è già stato celebrato. Preso dai sensi di colpa, l’uomo vaga all’interno della grande abitazione; al centro c’è la bara della madre, aperta. Il corpo è vestito a lutto, ma alla salma manca la testa, la parte colpita dal lampadario staccatosi dal soffitto che ha provocato la morte di Mona.
Poco dopo arriva alla casa proprio Elaine (Parker Posey), che Beau scopre aver lavorato per sua madre in tutti quegli anni. Le dice di non averla mai dimenticata e le professa il suo amore rimasto immutato sin dai tempi della crociera. Elaine conduce quindi Beau in camera da letto di Mona e i due consumano un rapporto sessuale, nonostante i grandi timori dell’uomo di finire stecchito nel momento del culmine come suo padre prima di lui e il padre di suo padre ancora prima. Nel momento dell’orgasmo, però, non succede nulla. A uccidere, invece, è l’orgasmo femminile, che fa morire e pietrificare Elaine seduta stante.
Sotto shock, Beau si scansa immediatamente. Ma un rovesciamento ancora più sconvolgente è dietro l’angolo: Mona è ancora viva. Il corpo nella bara è in realtà della balia di famiglia. Confuso e indignato da tutta questa messa in scena, Beau chiede la verità su suo padre una volta per tutte. Gli viene ribadito che si trova su in soffitta. Beau sale e l’ennesima rivelazione gli si para davanti. Suo padre non è altro che un enorme fallo, una rappresentazione chiaramente in chiave allegorica di un uomo qualsiasi, di una storia senza storia dalla quale si è generato tutto quanto.
Come si risolve Beau ha paura?
Beau capisce di essere stato per tutta la sua intera vita succube del controllo e dell’orchestrazione materna. Da piccolo – ci sono molte copertine di riviste appese al muro che ritraggono Beau come soggetto delle campagna pubblicitarie dell’azienda della madre -, ma anche da grande – arriva a casa di Mona anche lo psicoterapeuta di inizio film, al soldo della donna che teneva in costante aggiornamento. Chiaro è, quindi, come Beau ha paura affronti un irrisolto complesso edipico che prende il cordone ombelicale mai reciso tra questi due personaggi e lo stringe attorno alla gola di un protagonista fiaccato e avvilito per la sua intera vita.
I due si affrontano, con Mona che cerca di spiegare le ragioni di una madre costretta a crescere un figlio senza l’ausilio di un padre e per di più contro l’irriconoscenza di quel figlio stesso. Stando alle sue parole, il suo non era altro che il tentativo di proteggere e tenere al sicuro il proprio bambino dalle intemperie della vita. Beau, offeso ed ora consapevole, si scaglia contro Mona afferrandola al collo e apparentemente soffocandola. Qui parte la sequenza di chiusura del film, la più criptica e metaforica. Poco dopo Beau prende una barchetta e si reca nel mezzo del lago di Wasserton, mentre la luna splende in cielo. Quella che però sembra essere la volta celeste, si illumina e rivela un enorme anfiteatro in penombra pieno di persone.
Qui Beau è messo sotto accusa da un avvocato (Richard Kind), che ha al suo fianco proprio Mona, viva e vegeta. L’arringa è sulla cronica mancanza di affetto da parte di Beau, irriconoscente per la sua intera vita e ingrato nei confronti di tutto quello che sua madre ha saputo e voluto dargli nel corso del tempo. Incapace di controbattere in maniera adeguata, Beau incespica sul barchino e cade in acqua, affogando. E proprio all’insegna dell’acqua si apre e si chiude il film: dalla dimensione materna del liquido amniotico e del parto con cui comincia Beau ha paura, fino a questa caduta nell’abisso del senso di colpa. Un racconto che altro non è che la travagliata vita di un uomo castrato, di una figura oppressa e repressa, stretta nella morsa di un rapporto dal quale non si è mai davvero svincolato e che l’ha condannato a stare nella bolla di un mondo oscuro e distaccato.