Grazie al suo ruolo della Regina Ramonda in Black Panther: Wakanda Forever, Angela Bassett ha ricevuto un Golden Globe come attrice non protagonista dell’anno e una storica candidatura all’Oscar: è la prima interprete a ricevere una nomination dall’Academy per un film targato Marvel Studios. Un’eredità già ingombrante per una delle più sopraffine attrici afroamericane degli ultimi trent’anni, che pure una menzione dagli Oscar la aveva avuta nel lontano 1994 nel ruolo di Tina Turner in Tina – What’s Love Got To Do With It. Ora, quasi trent’anni dopo, Angela Bassett torna in competizione per agguantare il primo Academy Award della sua carriera.
Ma perché il suo ruolo nel sequel Marvel diretto da Ryan Coogler ha avuto così tanta eco dalla sua uscita nonostante i giudizi contrastanti di pubblico e critica? In onore della storica candidatura all’Oscar e del debutto di Black Panther: Wakanda Forever su Disney+ a partire da mercoledì 1 febbraio, riscopriamo insieme i punti di forza della Regina Ramonda interpretata da Angela Bassett, una madre cinematografica capace di bucare lo schermo ed elevare il lungometraggio di cui è personaggio fondante.
Una madre ed una regina in lutto
Nel sequel del campione d’incassi del 2018 ancora diretto da Ryan Coogler, il popolo del Wakanda è costretto a difendere la propria nazione dopo la prematura ed inaspettata morte del Re T’Challa (il compianto Chadwick Boseman), contesa tra le mire di vari paesi del globo che vorrebbero appropriarsi degli estesi giacimenti di vibranio della nazione africana. Una nuova minaccia però arriva con la comparsa del misterioso Namor (Tenoch Huerta), il sovrano del regno subacqueo di Talokan, pronto ad una guerra senza esclusione di colpi con il Wakanda. La Regina Ramonda e sua figlia Shuri (Letitia Wright) dovranno fare fronte comune e superare il lutto famigliare per proteggere il loro regno una volta per tutte.
Un incipit ambizioso e promettente quello di Black Panther: Wakanda Forever che, come vi avevamo spiegato nella nostra recensione, trae la sua forza maggiore nell’assetto di film-funerale, lunghissimo e solenne requiem dedicato alla memoria di Chadwick Boseman, presenza fantasmatica nel sequel di Coogler che permea cuore ed anima dei suoi tanti protagonisti; in particolar modo, il rapporto madre/figlia tra Ramonda e Shuri, che si tramuta ed amplia per dare vita al conflitto più interessante del Wakanda Forever cinematografico. Un dialogo/scontro transgenerazionale che enfatizza maggiormente il ruolo di scomoda doppiezza di Ramonda: madre in lutto per la scomparsa improvvisa e prematura del figlio e sovrana in strenua lotta contro nuove minacce pronte a destabilizzare gli equilibri e la salvaguardia del suo regno.
Il peso della responsabilità
Dopo questa necessaria riscrittura della sceneggiatura dopo la morte di Boseman, Angela Bassett ha saputo trarre il meglio da un lungometraggio che sapeva già in cuor suo avrebbe catalizzato i riflettori di tutti i media: Wakanda Forever sarebbe stato appropriato omaggio al Re caduto oppure avrebbe trovato una sua strada, lontano dalla pur ingombrante iconografia del T’Challa di Chadwick Boseman? Il risultato del sequel candidato a 5 premi Oscar è un curioso esperimento riuscito a metà, diviso tra epiche ambizioni di war movie tra il regno del Wakanda e quello sottomarino di Talokan, e intima riflessione sul lutto e sul peso della responsabilità materna.
Tutte istanze che l’attrice statunitense comprende appieno, donando alla sua Regina Ramonda un ritratto lontano dalla superficialità e dalla caricatura spesso proprie dei prodotti cinematografici Marvel, generoso invece di spessore e profondità psicologica nonostante il minutaggio più breve rispetto ad altri protagonisti. Eppure, nonostante il ruolo solo apparentemente secondario, Angela Bassett ridefinisce il vocabolario legato alle interpretazioni non protagoniste, trasformando la sua regale e fragile regina del Wakanda in un vero e proprio personaggio di supporto. Nel miglior senso possibile della sua terminologia.
Un monologo da brividi alle Nazioni Unite
Questo perché l’attrice, nonostante i limiti di una sceneggiatura curata da Joe Robert Cole e dallo stesso Coogler che spesso e volentieri poco spazio lascia al respiro interiore dei suoi protagonisti, utilizza con bravura sconcertante ogni singolo minuto affidato al suo carismatico personaggio femminile. Divisa tra l’essere una figura materna fragile e premurosa nei confronti della sua Shuri e al contempo sovrana dal pugno inflessibile di fronte alle minacce umane e sovrannaturali al Wakanda, la Regina con il volto di Angela Bassett infine si presenta allo spettatore come fondamentale chiave di volta di un fin troppo affollato sistema di personaggi che caratterizza il sequel targato Marvel e che aggancia gli slanci emotivi più genuini degli spettatori grazie alla sua performance sfaccettata ed accattivante.
Se dovessimo decretare la sequenza più potente ed efficace nella quale la candidata all’Oscar fa letteralmente esplodere tutto il suo potenziale fino ad allora inespresso di scene stealer, sarebbe quella che si svolge nel corso della riunione delle Nazioni Unite. In tale frangente, Ryan Coogler mette in scena il passaggio di consegne regali tra il deceduto T’Challa e la madre Ramonda attraverso un monologo carico di rabbia e consumato carisma, letteralmente rigettato su un’assemblea di potenti del mondo prevalentemente maschile; un mondo che vorrebbe controllare i giacimenti di vibranio del Wakanda ed assoggettare così la fittizia nazione africana alla mercé di un sistema di potere vetusto e patriarcale.
Un’attrice che buca lo schermo
Con la salita al potere di Ramonda al trono più alto del Wakanda e con il passaggio di testimone del costume da T’Challa alla sorella minore Shuri, Black Panther: Wakanda Forever diventa così anche testimonianza di una prospettiva futura per il Marvel Cinematic Universe dove finalmente la figura femminile assume a tutto tondo pari opportunità decisionali in un mondo governato da uomini. Forse è proprio in questo cambio direzionale in fase di scrittura che Angela Bassett è riuscita trovare la giusta chiave interpretativa per portare nuovamente in vita la sua Ramonda.
Un’interprete del cinema americano degli ultimi trent’anni che da sempre ha saputo sfruttare al meglio il suo innato talento davanti la macchina da presa, a comprendere i propri personaggi a partire dallo script ed infondendo nei loro ritratti profondità psicologica e carisma da vendere. Tutti elementi che rendono la Regina Ramonda di Wakanda Forever, come anticipavamo già sopra, l’epitome perfetto di quel ruolo di supporto in grado di rubare la scena a tutti in qualsivoglia frangente cinematografico. Per tali motivi, molto probabilmente, Angela Bassett celebrerà finalmente la sua vastissima carriera di veterana del grande (e piccolo) schermo con uno storico Oscar per Black Panther: Wakanda Forever.