Presentato con enorme successo di pubblico e critica alla 18° Festa del Cinema di Roma, C’è ancora domani è il primo lungometraggio diretto dall’attrice e e sceneggiatrice Paola Cortellesi. Il film ha debuttato nelle sale italiane con Vision Distribution il passato giovedì 26 ottobre, ottenendo in pochissimi giorni un’attenzione mediatica ed un passaparola che stanno portando ad importanti numeri al botteghino italiano. Il film lo avevamo letteralmente amato alla Festa del Cinema di Roma e ve ne parlammo con toni entusiastici nella nostra recensione dedicata, oggi invece vogliamo in un qualche modo celebrare il successo di questo film agrodolce soffermandoci sul suo finale e le letture che se ne possono dare.
Nella nostra spiegazione del finale di C’è ancora domani, entreremo esattamente nel dettaglio delle ambizioni del primo lungometraggio da regista di Paola Cortellesi sottolineando allo stesso tempo la straordinaria contemporaneità del tema che affronta con mirabile leggerezza di toni. Alla fine della nostra analisi, concluderemo con l’affermare che C’è ancora domani è un vero e proprio crowdpleaser cinematografico, come ne mancavano da tanti, tantissimi anni nel panorama della settima arte nostrana.
Di cosa parla C’è ancora domani?
Per comprendere al meglio il finale di C’è ancora domani e il suo significato più profondo, è necessario fare un piccolo passo indietro e capire di cosa parla il debutto dietro la macchina da presa di Paola Cortellesi, il sistema di personaggi, le loro relazioni e il contesto storico-sociale in cui si muovono. Il film di successo racconta la storia di Delia (Paola Cortellesi), moglie di Ivano, e madre di tre figli. Moglie e madre. Questi sono i ruoli che la definiscono e questo le basta, da sempre. Siamo nella seconda metà degli anni ’40 e questa famiglia qualunque vive in una Roma divisa tra la spinta positiva della liberazione e le miserie della guerra da poco alle spalle. Ivano (Valerio Mastandrea) è capo supremo e padrone della famiglia, lavora duro per portare i pochi soldi a casa e non perde occasione di sottolinearlo, a volte con toni sprezzanti, altre, direttamente con la cinghia. Ha rispetto solo per quella canaglia di suo padre, il Sor Ottorino (Giorgio Colangeli), un vecchio livoroso e dispotico di cui Delia è a tutti gli effetti la badante. L’unico sollievo di Delia è l’amica Marisa (Emanuela Fanelli), con cui condivide momenti di leggerezza e qualche intima confidenza.
È primavera e tutta la famiglia è in fermento per l’imminente fidanzamento dell’amata primogenita Marcella (Romana Maggiora Vergano), che, dal canto suo, spera solo di sposarsi in fretta con un bravo ragazzo di ceto borghese, Giulio (Francesco Centorame), e liberarsi finalmente di quella famiglia imbarazzante. Anche Delia non chiede altro, accetta la vita che le è toccata e un buon matrimonio per la figlia è tutto ciò a cui aspiri. L’arrivo di una lettera misteriosa però, le accenderà il coraggio per rovesciare i piani prestabiliti e immaginare un futuro migliore, non solo per lei. Dietro l’angolo, difatti, c’è una data fondamentale, non solo per la storia d’Italia, ma anche per la condizione femminile nel nostro Paese lancinato dalle ferite del Secondo Dopoguerra: la concessione al voto per le donne, anno domini 2 giugno 1946. Le cose, finalmente, stavano forse per cambiare.
Il mistero della lettera
Per capire appieno ciò che accade nel terzo ed ultimo atto di C’è ancora domani è lecito chiedersi cosa nasconda il contenuto di quella misteriosa lettera che una mattina arriva a casa di Delia, intestata a lei e non al marito Ivano. In una delle scene chiave del film di Paola Cortellesi vediamo proprio il suo personaggio chiudersi in camera, aprire furtivamente quella lettera e leggerne l’enigmatico contenuto, senza però rivelarne nulla allo spettatore ignaro in sala. Una scena praticamente muta che però risuona molto di più di tantissime altre sequenze di C’è ancora domani, che della sua leggerezza ed ironia nella struttura narrativa ne fa vanto e chiave di lettura principale.
Sì perché il film di esordio della bravissima attrice e comedienne romana non è soltanto retto dai siparietti comici (peraltro, riuscitissimi) tra di lei e la sua amica fruttivendola Marisa (una vulcanica Emanuela Fanelli), dalla rozzezza dell’Ivano interpretato da Mastandrea o dalla comica volgarità dell’anziano Sor Ottorino con il volto di Giorgio Colangeli, no. Il segreto del successo strepitoso che il film sta ottenendo nelle sale di tutta Italia soggiace proprio nell’inaspettato e commovente finale, che sposta il livello qualitativo e contenutistico del film molto, molto più in alto di quanto non ci si potesse aspettare all’inizio.
Cosa succede nel finale di C’è ancora domani?
E arriviamo quindi alla spiegazione del finale di C’è ancora domani. Il film finisce con il personaggio di Delia che la mattina della veglia del suocero Ottorino, anziché rimanere a casa e continuare ad accogliere parenti e conoscenti, si avvia verso i seggi elettorali con la scusa di dover praticare la solita iniezione ai vicini di casa, la stessa commissione che faceva quasi tutti i giorni fuori di casa, avanti ed indietro e quindi, una scusa perfetta per fare un gesto praticamente storico. È la mattina del 2 giugno 1946 e Delia, con indosso una camicia comprata per l’occasione con i suoi risparmi segreti e la lettera in tasca, si avvia al seggio, ed è qui che lo spettatore capisce finalmente qual era il contenuto di quella lettera: l’approvazione della tessera elettorale. Quando però la donna arriva lì si accorge di una cosa terribile: non trova più quel documento, che nel frattempo le era cascato dall’abito poco prima di uscire di casa. A ritrovare quella fatidica lettera in casa ci pensa prima Ivano, che va su tutte le furie, poi Marcella, che fa di tutto per raggiungere la madre e consegnarle quel prezioso documento. Marcella giunge al seggio appena in tempo, consegna la lettera a Delia e la aspetta fuori, sorridente e fiduciosa.
Nel frattempo giunge però al seggio anche il violento marito Ivano, che tenta in tutti i modi di fermare la moglie e di punirla una volta tornati a casa. Troppo tardi, perché Delia aveva già espletato il suo storico diritto civile; lui la vede, lei lo vede, moglie e marito si guardano, lui dal basso e lei dall’alto, divisi però stavolta da una fiumana di elettori, vecchi e nuovi. Dopo una vita come moglie maltrattata e madre carica di sofferenza e sacrifici per i suoi figli, è lei ad aver compiuto per una volta un gesto eroico, epocale: aver contribuito con il suo voto, quello di una donna, a regalare all’Italia del Dopoguerra un futuro migliore per tutte le mogli e madri in difficoltà. Sulle note commoventi di ” A bocca chiusa” di Daniele Silvestri.
Il film femminista che l’Italia aspettava da tempo
Con le lacrime agli occhi per la gioia e l’inaspettata commozione, capiamo finalmente qual è il vero significato del finale di C’è ancora domani e l’ambizione segreta di Paola Cortellesi dietro la macchina da presa. La sua opera cinematografica è un grido di vendetta nei confronti dell’oblio storico nel quale sono inavvertitamente cadute tutte quelle donne che nel lontano 1946 ebbero finalmente il diritto di partecipare attivamente ad un’elezione politica, un evento storico che quel fatidico 2 giugno di tanti anni fa fu anche il grimaldello per dare inizio ad un processo sociale i cui benefici sono fortunatamente attualità: la parità di diritti sociali tra uomo e donna, in un periodo storico (quello del Secondo Dopoguerra), in cui la figura femminile era spesso e volentieri segregata ad angelo del focolare senza orizzonte e futuro, senza il diritto di scegliere come condurre la propria vita, privata talvolta di ogni pretesa o anelito di dignità, di libertà individuale.
C’è ancora domani narra tutto questo nella forma di un film realizzato in bianco e nero che omaggia e celebra i grandi classici del cinema italiano del Dopoguerra, le grandi attrici di quell’epoca che ne raccontarono luci ed ombre (su tutte, l’immortale Anna Magnani), la forza interiore delle donne di ieri e di oggi, che ancora faticano nella nostra Italia a levare la propria voce, a farsi sentire, a contare come e più degli uomini, ingabbiate in un sistema socio-culturale ancora troppo patriarcale e retrogrado. C’è ancora domani, grazie alla sua leggerezza e spontaneità, è un vero e proprio crowdpleaser cinematografico come nel nostro Paese non se ne vedevano da tempo, capace di divertire, commuovere e far riflettere all’unanimità un’intera nazione di spettatori registrando al contempo un ottimo ed insperato risultato al botteghino nostrano. Un mix di elementi che forse è appartenuto in tempi più o meno recenti soltanto a La vita è bella di Roberto Benigni, di cui l’esordio della Cortellesi sembra essere l’erede femminile ed orgogliosamente femminista di cui l’Italia aveva disperatamente bisogno.