Quante volte accade che un secondo capitolo risulti essere addirittura migliore del primo? A conti fatti e considerando le esperienza pregresse di alcune “saghe”, le possibilità di centrare questo obiettivo sono effettivamente poche. Per questo motivo, dunque, la struttura narrativa e, soprattutto, la capacità di evoluzione del personaggio proposta da Code 8: Parte II (di cui trovate la nostra recensione) stupisce in senso assolutamente positivo.
In modo particolare a saltare agli occhi è la modernità del racconto e, soprattutto, la drammatica attualità dei temi trattati. Il regista Jeff Chan, infatti, grazie al personaggio ambiguo di Connor Reed e ai suoi poteri, narra una storia con dei sottotetti politici e sociali ben precisi che rifletto alcuni eventi della cronaca. Tra tutti, ovviamente, salta agli occhi il rapporto complesso con una polizia corrotta dedita alla cieca violenza nei confronti delle minoranze e, soprattutto, la ghettizzazione del “diverso”. Nonché la stessa accezione di un termina che non avrebbe motivo di esistere.
A tutto questo, però, si aggiunge un finale non consolatorio ma, soprattutto, concentrato sul riscatto personale ottenibile solo se coadiuvato da una presa di coscienza generale e da un movimento sociale direzionato all’acquisizione dei propri diritti. Ma andiamo a vedere più nel dettaglio come Chan ha orchestrato tutti questi aspetti nella nostra spiegazione del finale di Code 8: Parte II, film che potrebbe aprire ad un terzo capitolo.
L’evoluzione dell’antieroe
Connor Reed è tornato a Lincoln City ma qualche cosa è cambiato in lui. E non solo perché ha scontato la sua pena per i crimini commessi con la banda di Garrett. Ad essere modificato è lo stato d’animo o, meglio, l’assenza di una missione, di una motivazione in grado di svegliarlo dal lungo sonno in cui sembra essere caduto. All’inizio del film, infatti, il suo atteggiamento è essenzialmente volto all’invisibilità. La stessa in cui alcuni elementi che gestiscono il potere cittadino vorrebbero relegare chi, come lui, è dotato di poteri eccezionali. Così, piuttosto che combattere il sistema per una visione di giustizia che non trova aderenza all’esterno, preferisce mantenere un basso profilo.
Nel suo mondo, infatti, speciale fa rima con diverso e pericoloso. Parole che lo relegano nell’angolo scuro di chi non dovrebbe esistere e viene visto come un’aberrazione sociale. Ma tutto questo ha veramente senso? Connor non se lo chiede. Almeno fino a quando non arriva nella sua vita la giovane Pav. La ragazza rappresenta l’imput esterno, la volontà di trovare una soluzione ad un sistema che non funziona. Almeno per loro. La sua intenzione, infatti, è di smascherare l’unità K9 e, soprattutto, il sorgente King. Da questo motivo parte il risveglio di Connor che, come nel primo capitolo, si muove per andare a proteggere un’altra persona me che, in questo caso, è destinato ad evolversi. Pavani, infatti, nonostante abbia iniziato ad indagare per scoprire chi ha insabbiato la morte del fratello, si fa portavoce di un’esigenza più ampia che tocca la quotidianità di molti con dei risvolti sociali importanti.
L’attualità oltre la distopia
Per comprendere bene il finale che Chan ha costruito per i suoi personaggi, dunque, è essenziale capire come il genere fantascientifico e, soprattutto, l’architettura di un mondo distopico, in questo caso siano veramente secondari. Questi, infatti, sono utilizzati come una forma di scenografia all’interno della quale far muovere i personaggi verso la meta finale: destrutturare un sistema sociale basato sul privilegio di classe.
Evidente, infatti, è il concetto di casta in cui la popolazione di Lincoln City è divisa, con una preferenza per le persone prive di potere. Gli altri, invece, sono ridotti alla ghettizzazione. Rispetto al primo capitolo in cui questo elemento già esisteva ma era messo nettamente in secondo piano dalla struttura narrativa della fuga, in questo caso prende decisamente il sopravvento. Anzi, diventa lo scopo essenziale che muove i passi di Connor e Pav. Insieme, infatti, rappresentano la concretezza di un movimento che sta prendendo sempre più forma. Lo stesso che inizia ad indicare come errato il comportamento violento della polizia. In questo senso, dunque, la missione di Connor e Pav è destinata ad avere successo perché sostenuta, anche se in modo inconsapevole, da un movimento più ampio che li collega ad uno scopo universale e sempre meno personale.
Il trionfo della giustizia…forse
Ma cosa accade effettivamente nelle fasi finali del film? Sia Connor che Pavati sono assolutamente coscienti di non poter scappare in eterno dal corrotto King. Per questo fanno di tutto per impadronirsi di alcuni filmati che mostrano il modo in cui vengono addestrate le unità K9 per essere letali.
Il loro scopo, infatti. è di mandare tutto in onda attraverso le televisioni. Un risultato che i due ottengono utilizzando i poteri elettrocinetici di Connor mentre Pavani trasferisce tutti i dati su di una telecamera multimediale. In questo modo King e il suo sistema di terrore vengono scoperti di fronte agli occhi di tutti. Un evento singolo che, però, induce il procuratore generale ad avviare un’indagine approfondita sul programma K9, visto che potrebbero esserci altre persone coinvolte nel sistema di corruzione.
Tutto sembrerebbe essere finito per il meglio ma, spesso, le cose non sono come sembrano. Al termine di tutto, infatti, si assiste all’arresto di Kelton che lascia un vuoto di poteri all’interno della città, soprattutto per quanto riguarda il commercio di droga. L’uomo, però, appare troppo compiaciuto mostrando un sorriso inadeguato alla situazione. Sempre che tutto questo non sia stato un suo sottile piano. In sostanza, dunque, si potrebbe assistere ad un terzo capitolo in cui Connor, come antieroe rinnovato. e maggiormente consapevole di se stesso, è destinato a tornare in scena.