Date un Oscar a Ryan Gosling. Glielo avrebbero dovuto assegnare già per Blue Valentine, per Drive, per Half Nelson, ma noi vogliamo che glielo diano per Barbie. Ora che finalmente abbiamo visto l’attesissimo evento cinematografico diretto da Greta Gerwig e ne abbiamo parlato in maniera decisamente positiva nella nostra recensione, non possiamo che affermare quanto l’attore di origine canadese dia del filo da torcere a tutti i membri del cast (seppur azzeccatissimo) del film evento con Margot Robbie nei panni della bambola più famosa di sempre.
Nel ruolo del macho ed ingenuissimo Ken, Gosling dà sfoggio di tutta la sua straordinaria verve ed istrionismo recitativo, passando con estrema facilità da un registro più leggero ad un altro più cupo, sfaccettato ed inatteso. Ed in mezzo, una sorprendente dimostrazione di quanto l’attore sia un ineccepibile performer musicale, tra canto e coreografie irriverenti. Forse è proprio tempo di rendere ciò che è giusto a Ryan Gosling, una volta per tutte.
(Non è) solo Ken
Ryan Gosling non è solo Ken in Barbie. Sebbene all’interno dello spassoso film di Greta Gerwig interpreti proprio la querula e macha controparte maschile della bambola celeberrima, l’attore canadese dona colore e vivacità al suo personaggio, mai trasposizione monodimensionale di un giocattolo che per decenni è stato oggetto (in tutti i sensi) di una audience di attente ed esigenti clienti bambine, desiderose di creare storie (stra)ordinarie giocando con Barbie e gli abitanti del suo regno fantastico. Merito ovviamente della scrittura cinematografica della Gerwig che, in tandem con il suo collega e compagno di vita Noah Baumbach, confeziona un adattamento dai giocattoli targati Mattel al grande schermo che predica uguaglianza tra i sessi e pari opportunità più che becera critica al patriarcalismo insito nella società umana di sempre.
Una battaglia dei sessi, quella del film, che si risolve appropriatamente nei due poli narrativi ed attrattivi che costituiscono il cuore pulsante e l’attenzione mediatica stessa di tutto il progetto firmato Warner e Mattel: la Barbie stereotipata di Margot Robbie e il suo biondissimo e basicissimo Ken, dal volto e le fattezze semplicemente azzeccate del nostro Ryan Gosling.
Ken è il personaggio più complesso di Barbie
La polarità narrativa della riuscitissima screwball comedy di Greta Gerwig non è soltanto predominio della splendida e complicata Barbie di Margot Robbie (che nella sua inaspettata e dolorosa presa di coscienza regala all’attrice australiana il ruolo che la consacra definitivamente star primaria senza se e senza ma), ma è anche di Ryan Gosling, perfetto involucro recitativo di un personaggio sorprendentemente più complesso e sfaccettato. Il viaggio che Ken intraprende con la sua biondissima controparte dal regno rosa shocking di Barbieland al Mondo Reale funge a questo punto da presa di coscienza per il nostro personaggio maschile: imbrigliato in una realtà, quella reale della assolata città di Los Angeles in cui sono i membri di sesso maschile a condurre le redini della società anziché le “Barbie” del suo mondo (semi)immaginario, Ken abbandona la nostra amata protagonista per istruire i concittadini di Barbieland alla possibilità di un’altra via oltre a quella del predominio femminile.
Un’alternativa possibile che, in assenza del personaggio di Margot Robbie, si espande come un virus venefico in Barbieland, sovvertendo l’utopia pink e tutta al femminile del regno immaginifico a favore di una replica del Mondo Reale. E quindi, evviva il patriarcato, le sue regole, la sua struttura, la sua carica rivoluzionaria in Barbieland; difatti, ad indossare infine la corona del nuovo assetto governativo sarà lo stesso Ken, che improvvisamente da monodimensionale (ma irriverente) accessorio maschile della nostra protagonista diventa villain efficace e sufficientemente complesso.
Un uomo liberato
Una trasformazione semplicemente inaspettata ma decisamente adatta al messaggio nascosto del lungometraggio di Greta Gerwig. Da accessorio ad antagonista concettuale del film il Ken di Ryan Gosling racchiude tutte le contraddizioni insite nell’esasperazione binaria di entrambi gli estremismi: da una parte quindi l’utopia femminista e sbilanciata di Barbieland, dall’altra il sistema patriarcale che sovverte i ruoli e pareggia i contro di una guerra gender la cui unica uscita di sicurezza giace nella consapevolezza profonda della necessità di un’uguaglianza reciproca.
Una lezione dura che imparerà presto il personaggio di Ken, dapprima sprezzante ma bambinesco governatore di un regno ottenuto con un colpo di stato miope e maschilista, poi uomo liberato nel suo profondo dalla presa di coscienza di una possibile via di uscita: quella dell’accettazione umanissima e dolorosissima (almeno, all’inizio) di quello che semplicemente si è, dei propri sogni, desideri, delle proprie necessità più intime e degli obiettivi da voler (poter!) finalmente conseguire. Una consapevolezza senza legami di alcun tipo che la Barbie di Margot Robbie rivela a Ken; che prima quindi perde di vista la strada maestra generando distopia, poi se ne ravvede attraverso un pianto liberatorio che sblocca l’accesso alla vera intimità e ai più profondi desideri del nostro protagonista maschile.
He’s Just Ken?
Che la parità dei sessi sia dunque una possibilità concreta da perseguire? Che le relazioni interpersonali tra uomo e donna e viceversa possano sul serio risolversi in una liberatoria accettazione della tossicità del gioco di predominio? La Barbie di Margot Robbie ne è assolutamente certa, e Ken (dopo aver dato sfoggio della sua mascolinissima “Kenergia” in una sequenza musicale irresistibile e già di culto) subisce la trasformazione finale, approdo terminale di una metamoforsi caratteriale che iniziava come accessorio maschile della sua bionda del cuore a leader di una rivoluzione maschilista, fino all’illuminazione liberatoria sul fatto che, anche lui come la sua Barbie, si è sempre sentito costretto in un ruolo prestabilito (lei Barbie Stereotipo ma con crisi esistenziale, lui…è solo Ken!).
E nonostante il tono costantemente ironico e sopra le righe del film, è impossibile non ammirare la straordinaria versatilità con la quale Ryan Gosling accompagna con il suo talento il percorso imprevedibile ed accidentato del biondissimo Ken. Per questo la sua performance sfaccettata ed irresistibile conquisterà non solo i cuori del pubblico anche più preparato, ma anche quelli dell’Academy e dell’industria hollywoodiana tutta; pronta a regalargli la terza candidatura alla statuetta della sua versatile carriera. E speriamo anche un meritato Oscar.