Il 10 novembre del 1992 arrivava nelle sale statunitensi Dracula di Bram Stoker, sogno ad occhi aperti di rara potenza gotica e sensuale diretto dal regista premio Oscar Francis Ford Coppola. Al suo debutto, il film ispirato al romanzo immortale dello scrittore irlandese non venne accolto favorevolmente dalla critica internazionale, ma il pubblico fece volentieri la fila fuori dalle sale cinematografiche per assistere a quello che era stato già venduto da Columbia Pictures come un film horror “scioccante e rivoluzionario”. E a posteriori, la distribuzione statunitense del lungometraggio vampiresco aveva pienamente ragione.
A 30 anni dall’uscita nei cinema di tutta America (in Italia debutterà soltanto nel gennaio dell’anno successivo), riflettiamo ancora una volta sull’eredità e l’influenza nell’immaginario collettivo del Dracula firmato da Francis Ford Coppola (di cui abbiamo parlato anche nella nostra approfondita recensione), tra messa in scena audace e allo stesso tempo primitiva e una storia d’amore assolutamente inedita negli scritti di Bram Stoker.
Il Dracula che non ti aspetti
Benché il titolo del film diretto dal regista italoamericano de Il Padrino e di Apocalypse Now e scritto da James V. Hart ci tenga a sottolineare la paternità di Bram Stoker e i debiti al romanzo originario, delle pagine epistolari pubblicate nel 1897 rimane piacevolmente ben poco. Perché il Dracula di Francis Ford Coppola attinge sì dagli eventi maggiori nati dalla mente geniale dello scrittore irlandese, ma poi si presenta al suo pubblico come un incubo erotico in continua trasformazione, rigenerazione, una festa totalizzante e definitiva dei cinque sensi a partire dallo straordinario linguaggio cinematografico che Coppola mette in scena.
Un film sulla reincarnazione in ogni suo significato e lettura che è emblematico della figura stessa del Conte Dracula rappresentato nel film; interpretato dall’istrionico e camaleontico Gary Oldman, qui il Signore delle Tenebre si fa conoscere in vesti e sembianze sempre disparate: prima sanguinario principe valacco in lotta contro i turchi nella Transilvania del XV secolo, poi millenario custode di un castello tenebroso e decadente, per passare infine a vestire i panni di un elegante gentleman nella Londra vittoriana, oppure un lupo o un pipistrello gigante. Un trasformismo nell’aspetto e nell’anima che era parzialmente assente nel romanzo del XIX secolo ma che qui assume sottotesti e letture affascinanti che contribuiscono ancora oggi a rendere l’adattamento di Coppola unico nel suo genere.
Il potere vampiresco del cinematografo
Due anni prima della pubblicazione del romanzo, in Francia accadeva qualcosa di straordinario e rivoluzionario: i fratelli Auguste e Louis Lumiére davano alla luce il cinematografo, strumento tencologico capace di catturare scene e momenti della vita reale o addirittura ricrearli per trasmetterli su un grande schermo bianco; un’innovazione che negli anni successivi generà un tale polverone mediatico che ben presto l’invenzione dei Lumiére divenne il futuro stesso dell’arte. Curioso quindi pensare che il seminale romanzo di Bram Stoker sia uscito sugli scaffali delle librerie d’Europa due anni dopo, quasi di pari passo con l’altra rivoluzione culturale in atto oltre la Manica.
Francis Ford Coppola, a cui non era di certo sfuggita questa fortuita coincidenza, traspone il capolavoro della letteratura gotica imbevendolo di parallelismi audaci ed inediti tra la nascita della Settima Arte e lo sbarco del Conte Dracula nella Londra vittoriana del 1897, e lo fa adottando una regia contraddistinta da un uso spasmodico di retroproiezioni, movimento inverso della macchina da presa, fondali dipinti, miniature, proiezioni frontali, prospettive forzate ed esposizioni multiple. Tutti stratagemmi tecnici propri dei primi professionisti del cinema degli albori, gli stessi che facevano del cinematografo dei Lumiére uso quotidiano; per questo motivo il Dracula di Coppola si presenta al suo spettatore come uno straordinario omaggio ai prodigi visivi delle origini del cinema, atto di assoluta rivoluzione cinematografica rispetto alle trasposizioni precedenti del romanzo gotico di Stoker.
Contro l’etica e gli ideali della civiltà vittoriana
Come il cinematografo dei Lumiére, tutto sommato anche il principe dei vampiri arriva nel mondo civilizzato per destabilizzare usi, costumi, credenze ed ideali della società occidentale; un vero e proprio atto, quello del nutrirsi di sangue degli umani per vivere un’eterna morte vivente, che qui ha del rivoluzionario a tutti gli effetti. Ed insospettabilmente, anche nella concezione della sfera sessuale quotidiana della società vittoriana; difatti, l’arrivo di Dracula nella capitale inglese per inseguire la reincarnazione della sua amata Elisabetta nel volto e nell’anima di Mina Murray (Winona Ryder), ha le sembianze di un incubo erotico ad occhi aperti, un brutto sogno carico di lussuria e lascivia che prima irretisce la spavalda Lucy Westenra (Sadie Frost) e poi avvolge il destino della povera Mina a quello del vampiro che ha attraversato gli oceani del tempo per ritrovare il suo amore perduto.
I ripetuti atti sessuali che coinvolgono corpi e anime delle due donne plagiate dalla rete fascinosa di Dracula sono strettamente legati al concetto vittoriano di malattia venerea; quest’ultima, contagiosa proprio in virtù dell’accoppiamento tra due persone, colpisce il sistema circolatorio dell’essere umano infettandolo di un morbo che provoca, tra gli altri sintomi, forte pallore ed anemia; le stesse conseguenze fisiologiche di un morso vampiresco sul collo, nondimeno.
La libertà sessuale di Dracula
Per tale comparazione di idee e concetti è interessante leggere il film di Coppola anche come una riflessione sul tabù dell’intimità e della libertà sessuale, letteralmente scoperchiato dall’arrivo nella rigida società vittoriana di una creatura dai poteri destabilizzanti e rivoluzionari. Non è difatti un caso che il regista ritragga più e più volte il suo protagonista come un blasfemo ed antitetico Cristo delle tenebre; “Dov’è il mio Dio? Mi ha abbandonato!“, affermerà Dracula in fin di vita, tra le braccia della sua amata Mina prima di esalare l’ultimo respiro maledetto.
Una frase che sembra sinistramente rimandare alle ultime parole di Gesù Cristo sulla croce del Golgota prima di spirare e che racchiude idealmente buona parte del fascino sempiterno e sfacciatamente contemporaneo del Dracula di Francis Ford Coppola: così come era accaduto al Figlio di Dio nella Bibbia, anche il vampiro creato da Stoker arriva nella società degli uomini per dischiudere verità, amore, libertà, per poi essere però sacrificato sull’altare del raziocinio umano, ancora incapace di abbracciare tutta la terribile bellezza del mondo oltre il velo dell’apparente quotidianità.
Eh no, un Dracula come quello di Coppola proprio non si era mai visto sul grande schermo.