Il Festival di Cannes è unico nel suo genere, perché tra gli eventi cinematografici di un certo peso è forse il solo a generare in chi lo frequenta un sentimento che si può riassumere con la formula catulliana dell’odi et amo: ogni anno riesce ad attirare migliaia di addetti ai lavori (e praticamente solo loro, perché – a differenza di quanto si potrebbe pensare – Cannes non ha un pubblico pagante, a differenza di Berlino e Venezia), e ogni anno manda su tutte le furie le medesime persone perché troppo stressante e/o male organizzato (quest’ultimo aspetto soprattutto nelle edizioni post-pandemia, con le famigerate prenotazioni online che puntualmente ripropongono gli stessi problemi tecnici, irrisolti di anno in anno). In tal senso, l’edizione 2023 è probabilmente quella che più di tutte ha messo alla prova la pazienza degli accreditati, e in alcuni casi anche dei registi invitati. Ebbene sì, anche gli autori dei film selezionati hanno da ridire su come il sedicente festival più importante al mondo tratta le opere in programma.
In principio fu la pandemia
Per capire la situazione attuale, partiamo dall’edizione che non ha mai avuto luogo, quella del 2020, annullata in extremis dopo settimane di affermazioni vaghe e talvolta contraddittorie in merito (tra cui la memorabile foto, postata sull’account Twitter del festival, di un membro dello staff che trasportava i materiali inviati per la selezione). Un’edizione però negli annali di Cannes esiste, con una Selezione Ufficiale composta da titoli che avevano accettato il “bollino” della kermesse francese.
Una selezione esplicitamente fasulla, che non rifletteva quella che ci sarebbe stata in circostanze normali (perché l’annuncio, avvenuto all’inizio di giugno, includeva film che non sarebbero stati pronti in tempo per maggio), e che ufficialmente aveva lo scopo di promuovere le opere in questione in giro per il mondo. Ma era anche uno stratagemma per togliere titoli, soprattutto francesi, a Venezia e/o Berlino, le cui edizioni post-lockdown si sono svolte normalmente o quasi (il festival tedesco nel 2021 ha spezzato l’evento in due, online per i professionisti e in presenza per il pubblico locale). Un dettaglio che sicuramente non avrà fatto piacere a Cannes, l’unico dei grandi festival internazionali ad aver dato completamente forfait nel 2020, e quindi determinato a tornare più forte che mai.
Chi più ne ha, più ne metta
Nel 2021 è stata introdotta la sezione Cannes Premiere, sostanzialmente un’estensione del Fuori Concorso (la differenza la fa la sala dove hanno luogo le proiezioni ufficiali), con la conseguenza di una selezione extralarge – anche in questo caso, ufficialmente, per aiutare i film in cerca di distribuzione sul piano globale e quelli in uscita sul territorio transalpino – che ha tolto spazio ad alcune delle sezioni storiche del festival (in particolare Un Certain Regard). Il tutto per dimostrare, senza neanche cercare di nasconderlo più di tanto, che Cannes è l’appuntamento più importante, la vetrina principale per far muovere i primi passi al proprio film, anche se in alcuni casi lo vedranno in pochi.
Dopo due edizioni di questo tipo, per il 2023 si è parlato di un ritorno alla normalità, con un numero di film simile a quello delle edizioni pre-pandemia. Affermazione tecnicamente veritiera (al netto della presenza ingombrante di Cannes Premiere), ma che omette un dettaglio importante: se in programma ci sono una ventina di film dai 150 minuti in su, lo spazio a disposizione rimane uguale a quello dei due anni precedenti. Con scelte di scaletta francamente insensate: come si può sperare di far iniziare una proiezione alle 23.15 (altra bella trovata di quest’anno per i giornalisti, che dal 2018 non possono più vedere i film del concorso in anticipo), se quella precedente, iniziata alle 20.30, dura due ore e mezza (presentazione esclusa)?
Cannes Maledettes
Ne consegue un caos organizzativo che ha attivamente penalizzato molti dei film in programma, in alcuni casi rendendo difficile, quasi impossibile, la visione di titoli molto attesi come Killers of the Flower Moon di Martin Scorsese, che ha avuto diritto a due sole proiezioni (di cui una quella di gala, a cui la stampa raramente ha accesso), laddove a Venezia gli slot a disposizione sarebbero stati almeno quattro. Il caos ha travolto anche i registi, come emerso tramite la polemica associata a Close Your Eyes di Victor Erice, a detta di molti il film più bello di questa edizione, nonché un piccolo evento poiché il grande regista spagnolo non girava dal 1992.
Ebbene, come spiegato dallo stesso Erice in una lettera aperta pubblicata da El País, egli non ha presenziato alla prima del film non perché, come suggerito da altre testate, era risentito per la mancata selezione in concorso, ma perché non ha avuto notizie di alcun tipo fino alla sera prima della conferenza stampa di presentazione, il che gli ha impedito di valutare altre opzioni (gli era stata offerta l’apertura della Quinzaine des Cinéastes). E poi c’è stato il caso eclatante di Strange Way of Life di Pedro Almodóvar, inizialmente previsto con una sola proiezione (seguita da conversazione con il regista), aumentate a tre quando è stato sollevato un polverone mediatico su una défaillance organizzativa che non ha fatto entrare in sala gente regolarmente munita di prenotazione valida, con la beffa aggiuntiva di membri dello staff che hanno messo le mani addosso a professionisti accreditati che – giustamente – segnalavano l’irregolarità della cosa.
Pochi ma buoni
Certo, anche altri festival come Berlino e Toronto hanno selezioni molto generose, ma con la differenza cruciale che lì si tratta di eventi aperti al pubblico, che si svolgono sull’intero territorio delle rispettive città, con infrastrutture capaci di accontentare tutti. Cannes, invece, pur essendo una kermesse destinata quasi esclusivamente agli addetti ai lavori (lo spettatore tradizionale accede solo alle proiezioni gratuite di classici restaurati in spiaggia e a quelle della Quinzaine, che è una sezione parallela indipendente con un proprio regolamento), da alcuni anni fa sì che proprio il suo target, se tale vogliamo chiamarlo, resti insoddisfatto.
La Selezione Ufficiale è ormai una sorta di album di figurine dove al “mi manca” è stato sostituito un “ti manca”, riferito agli altri festival; un’esibizione di prestigio che non tiene conto delle esigenze di chi viene a Cannes per lavorare, perché l’importante è che i film li abbiano visti i selezionatori e coloro che ricevono gli inviti alle proiezioni di gala. In tal senso è particolarmente significativo che Justine Triet, la più recente vincitrice della Palma d’Oro, abbia tirato in ballo la riforma delle pensioni che è oggetto di controversie in Francia da mesi. Dimostrando di essere vicina a quel popolo, a quelle persone normali, che la dirigenza del festival invece guarda con un certo disprezzo dall’alto della scalinata del Grand Théâtre Lumière.