Sulla strada di uno dei disaster movie più celebri di sempre, The Impossible (2012), firmato dal regista spagnolo J. A. Bayona, c’era La Società della Neve. Tra il materiale che questi ha utilizzato per comprendere e scrivere il dramma di Enrique Álvarez, María Belón e dei loro tre figli – che sono riusciti a ritrovarsi dopo il terribile tsunami del dicembre 2004 che ha devastato l’Asia meridionale e causato 280.000 morti – Bayona ha incontrato il libro dell’uruguaiano Pablo Vierci sulla tragedia del disastro delle Ande del 1972. Racconta la storia di un gruppo di persone (16 dei cinque membri dell’equipaggio e 40 passeggeri) che sopravvissero senza cibo, ricorrendo al cannibalismo, a temperature sotto lo zero, a ogni tipo di imponderabilità e disgrazia, sapendo di essere dati per morti: nonostante ciò, riuscirono nell’impossibile.
Oltre a La Società della Neve, la carriera di Bayona è strutturata su storie che pongono i suoi protagonisti al limite, faccia a faccia con la morte. Più volte ha spiegato di esserne particolarmente interessato, perchè la nostra società rifugge da questo argomento, un’idea molto scomoda. Sebbene si tratti di film apparentemente cupi, o che potrebbero essere descritti come tali, li ha sempre definiti “luminosi”, perché ospitano una visione molto ottimistica dell’essere umano: secondo il regista, non si può parlare di vita senza capire che la morte arriverà. “Guillermo del Toro dice sempre che si vive per affrontare i propri ultimi tre minuti di esistenza, che tutto ciò che si è fatto nella propria vita tornerà in quei momenti. Quel viaggio mi interessa dal punto di vista cinematografico. Ho scherzato con i sopravvissuti dicendo che avevano passato mezzo secolo a cercare di dare un senso a ciò che avevano vissuto sulla montagna, e io avevo solo due anni di pellicola per farlo“, ha raccontato. Approfittiamo dell’uscita su Netflix de La Società della Neve, di cui vi abbiamo parlato nella nostra recensione, per analizzare la poetica della “mostruosità luminosa” di J. A. Bayona: come i film del regista spagnolo rappresentino variazioni sul tema di una minaccia mostruosa, da cui fuggire, con cui integrarsi o che potrebbe addirittura diventare salvifica, storie che vogliono scovare la luce dell’animo umano mettendolo di fronte alla morte.
La società della neve: salvarsi donandosi all’altro
![Una scena de La società della neve](https://cinemaserietv.it/wp-content/uploads/2023/09/La-societa-della-neve.jpg)
È trascorso mezzo secolo dal disastro aereo delle Ande, raccontato da J. A. Bayona nel suo nuovo film, La Società della Neve. Il 13 ottobre 1972, un aereo Fairchild FH-227D, operato dalla compagnia aerea uruguaiana Uruguayan Air Force, si schiantò contro le Ande, a causa delle cattive condizioni meteorologiche e di un errore di navigazione. A bordo c’erano cinque membri dell’equipaggio e 40 passeggeri: 19 membri della squadra di rugby dell’Old Christians Club, oltre a familiari, sostenitori e amici. Tre membri dell’equipaggio e 10 passeggeri morirono sul colpo. La prima notte, a causa dei meno 30 gradi e delle ferite riportate, persero la vita altri quattro. Il decimo giorno, altri otto morirono a causa di una valanga che seppellì i rottami della fusoliera. Durante i 72 giorni di isolamento in uno dei luoghi più inospitali della terra, anche altri quattro dei sopravvissuti spirarono, nutrendosi prima delle poche provviste contenute nelle loro valigie e poi dei corpi dei compagni deceduti (potete approfondire la storia vera de La Società della Neve qui).
Eppure, in sedici ce la fecero, in un atto di sopravvivenza intesa non solo come fisica, ma anche come emotiva. Non solo corpo, ma anche essere pensante: questa è stata la filosofia di Bayona sulla direzione narrativa da dare al suo film. La lotta alla sopravvivenza di questi uomini ha a che fare con la dignità, che diventa la loro forza motrice. Si tratta di un atto di fede, non da intendere nel suo aspetto religioso, ma di dignità: i sopravvissuti trovano il senso della morte donandosi agli altri. Il libro di Vierci, da cui il film è tratto, parla proprio di questa idea: quando gli esseri umani si trovano di fronte a una situazione estrema, tendono ad aiutare gli altri? È questo che commuove e ci fa scorgere quella “luce” di cui Bayona parla spesso. Come, in un mondo così buio e terribile, quei ragazzi abbiano trovato la luce nel posto più inaspettato. “Vierci scrive che quando si tolgono tutti gli strati di un uomo, rimane un cuore che si apre“, spiega il regista.
Per chi vivi? La domanda viene posta ai sopravvissuti sulle Ande e ripetuta da Bayona. Questi uomini, ormai, pensavano di essere morti, ed era vero: stavano morendo. Quindi, non essendoci vita, hanno dovuto reinventare il modo di relazionarsi con le loro credenze e i loro legami; lo spettatore si pone questa stessa domanda guardando il film, trovandosi di fronte a un’esperienza così estrema che ci fa riflettere anche su noi stessi. Per Bayona, bisogna trascendere l’aneddoto per toccare temi che sono universali. “Roberto Canessa [uno dei sopravvissuti] ha detto: “La gente vuole conoscere la nostra storia perché vuole sapere dove sono i propri limiti”. E questo mi ha fatto pensare che in fondo anche noi guardiamo i film per capire come reagiremmo in quelle situazioni“, ha raccontato il regista.
Quello che a Bayona interessa del cannibalismo è il concetto di dare il proprio corpo a un altro, al di là del simbolico. Nessuno degli ultimi compagni deceduti prima del salvataggio muore in modo brutale, capiscono che torneranno a casa grazie ai loro compagni: trasformano il donare la propria carne in qualcosa di tangibile. L’eroe non è chi arriva dopo, chi li salva effettivamente, anzi: questa idea non può essere compresa senza chi ha reso possibile il suo arrivo; La Società della neve è la storia di questi eroi anonimi, un’idea sicuramente più europea che hollywoodiana.
Sette minuti dopo la mezzanotte: il legame salvifico con la mostruosità
![Connor (Lewis MacDougall) e il mostro (Liam Neeson) in una scena di Sette minuti dopo la mezzanotte](https://cinemaserietv.it/wp-content/uploads/2024/01/a-monster-calls-1200x600-1.jpg)
Lo stesso Bayona ha definito Sette minuti dopo la mezzanotte “un dramma intenso alla ricerca della luce“. Questo film è raccontato dal punto di vista di un ragazzino di 12 anni, Connor (Lewis MacDougall), che dovrà farsi carico della gestione della casa, poiché la madre (Felicity Jones) è malata di cancro. Connor cercherà di superare le sue paure e fobie con l’aiuto di un mostro (Liam Neeson), ma le sue fantasie dovranno fare i conti non solo con la realtà, anche con la fredda e calcolatrice nonna (Sigourney Weaver).
“Non sono venuto a guarire tua madre, sono venuto a guarire te“, dice a Connor la creatura mostruosa in forma di albero con cui interagirà nel corso del film, una chiara figura terapeutica che lo accompagna e assiste nel processo di elaborazione del lutto. Come uno psicoterapeuta professionista, l’albero lo aiuta ad accettare, esprimere, prendere coscienza e guardare dentro alle intense emozioni generate dalle situazioni che sta vivendo. In poche parole, ancora una volta la mostruosità contingente indirizza il protagonista verso la luce, in questo caso, una crescita personale ed emotiva necessaria per affrontare un’altra minaccia, un altro tipo di orrore, che colpisce l’essere umano molto più da vicino: la malattia.
Un’altra lettura che si può dare al personaggio dell’albero è che esso rappresenta una parte di Connor, che sarebbe la verità dei suoi pensieri, delle sue emozioni e delle sue azioni, la parte sana e consapevole che è in grado di sostenere, lasciare transitare e gestire ciò che gli accade. Nel film Connor reprime le sue emozioni e, sebbene sia l’unica risposta che può dare in quel momento, è un atteggiamento che lo danneggia a più livelli. Il mostro gli insegna a esprimere le sue emozioni, gli dà il permesso che il ragazzino non si concede, in modo che possa finalmente accettarle, affrontarle e, infine, svuotarle di tutte le accezioni dolorose.
The Impossible: l’umanità dei gesti trionfa sulla tragedia
![Naomi Watts e Tom Holland in una scena di The Impossible](https://cinemaserietv.it/wp-content/uploads/2023/08/the-impossible.jpg)
“Credo che questa storia abbia qualcosa che commuove chiunque la ascolti, e lo fa in modo molto intenso. Ha un’emozione molto pura, anche molto nitida, che parla dell’essere umano da un punto di vista molto ottimista“, ha raccontato Bayona riguardo a The Impossible (2006). Si tratta di un film che affronta la catastrofe in modo crudo, ma allo stesso tempo, mostra la resilienza e la forza umana di fronte alle avversità. La storia è basata su eventi reali legati allo tsunami del 2004 in Thailandia che, pur con un impianto da disaster movie in toto, lascia emergere la luce attraverso gli atti di coraggio, amore e speranza dei protagonisti: un equilibrio delicato tra la tragedia e la determinazione umana. Bayona evita di ricreare in maniera asettica il terribile disastro, soffermandosi piuttosto su una serie di gesti e decisioni, affrontati con sublime delicatezza, che fanno da preludio a un secondo tempo in cui, dopo lo shock della tragedia che ci presenta la prima parte, The Impossible prende una svolta più meditativa, affrontando i sentimenti umani in maniera più diretta.
The Impossible è un’esperienza cinematografica in tutto e per tutto, che tocca profondamente le emozioni degli spettatori. La drammaticità della situazione presentata e la lotta per la sopravvivenza dei personaggi principali creano un’esperienza intensa e senza compromessi. Il fatto che non ci siano mezze misure nella rappresentazione delle emozioni riflette la brutalità della realtà vissuta dai sopravvissuti allo tsunami: un’esperienza che può lasciare un’impronta duratura negli spettatori, evidenziando la forza umana di fronte alle situazioni più estreme.
“Durante lo tsunami, gli Álvarez Belón hanno avuto 72 ore per andarsene da lì. Non hanno avuto il tempo di ridimensionare e capire cosa significa essere umani. Anche se quell’idea era già sullo sfondo: sopravvivono perché altri non soffrano il dolore della loro perdita. Si pensa che quando l’onda arriva porta via tutto, nazionalità, razze, classi sociali, e in quel momento si smette di parlare di tutto questo e si inizia a parlare di persone, le persone sono uguali in tutto il mondo. Poi, naturalmente, c’è una riflessione sul privilegio, quella famiglia occidentale che è stata fortunata perché non gli è successo nulla, è stata messa su un aereo e rimandata a casa. Se è vero, è stato senza molte spiegazioni e con molta sofferenza per quello che stavano lasciando“, ha raccontato Bayona in un’intervista. The Impossible è lo specchio esatto di questa riflessione sul dolore della perdita e sul cameratismo in situazioni gravose: con il film che lo ha reso così popolare anche oltreoceano, il regista spagnolo esplora con lucidità ed emozione tematiche a lui care (l’infanzia, il rapporto tra madri e figli, l’educazione), commuovendoci per la sua esplorazione della dignità umana in situazioni disastrose e chiudendo il film con un gesto finale iper significativo, che insinua che il viaggio dei protagonisti non finisce qui. Prosegue attraverso i suoi successivi film, vive negli altri suoi personaggi: accende la luce dell‘impossibile, coi suoi mostri che ci fanno visita, e ci rendono tutti uguali, società.