Il film Io Capitano, diretto da Matteo Garrone, è ispirato alla storia vera di Kouassi Pli Adama Mamadou, che ha anche partecipato alla stesura della sceneggiatura. Nato in Costa d’Avorio nel 1983, Mamadou stava studiando lingue all’università quando è scoppiata la guerra civile nel 2001. Per fuggire agli orrori del conflitto, dunque, decide di scappare con suo cugino. Non sa, però, che quello è solo l’inizio di un’avventura spesso drammatica.
Durante il viaggio, infatti, assiste a degli atti di violenza gratuita come la violenza sulle donne da parte di molti soldati e uomini picchiati a morte. Una volta arrivato in Libia, poi, inizia a vivere all’interno di case abbandonate fino a quando la polizia, nel 2008, non lo arresta e rinchiude in prigione. Da quel momento è iniziata una vera e propria discesa all’inferno durata ben 40 mesi, periodo in cui è sottoposto a qualsiasi tipo di tortura. Fortunatamente suo cugino riesce a pagare 400 dollari per liberarlo.
“Ho vissuto questa realtà in prima persona, per scoprire l’Europa, raccontata come un paese bello con accesso di diritti e alla scuola. Pur consapevoli dei rischi, abbiamo deciso di affrontarlo ugualmente, con alcuni riti propiziatori prima della partenza. Così ci viene la cazzimma di fare questo viaggio. L’ho fatto 15 anni fa, a 20 anni, con mio cugino. Durante il viaggio abbiamo incontrato persone che ci hanno scoraggiato ma alla fine siamo andati avanti.” – ha raccontato Kouassi in conferenza stampa, a Venezia 80, “Questo film stimola una riflessione profonda per l’Europa, che fa emergere tutta la sofferenza che le persone devono patire. Il modo per contrastare il traffico di esseri umani (soprattutto in Libia e Tunisia) è concedere un visto che permette agli africani di viaggiare e arrivare in Europa. Questo film mi fa rivivere un’emozione di gioventù dimenticata, che parla di tutti i migranti che hanno dovuto affrontare questo viaggio. Come ha detto Mattarella, bisogna fare dei canali di ingresso sicuri per contrastare il traffico degli esseri umani e scongiurare le morti.”
La tappa successiva della loro fuga è l’Europa affrontando il “classico” viaggio della speranza su di un gommone che, dopo tre giorni di navigazione, è naufragato. I due ragazzi, comunque, sopravvivono e vengono salvai dalla Guardia Costiera di Lampedusa. Ma non c’è fine alla sofferenza e al sacrificio. Una volta giunto in Italia, infatti, per molti anni Mamadou ha coltivato tabacco e raccolto frutta e ortaggi.
Oggi, fortunatamente, la sua vita è cambiata. Forte della sua esperienza e della conoscenza delle lingue, lavora come mediatore interculturale offrendo rifugio a chi scappa dalla guerra come lui. E’ comprensibile, dunque, come questo vissuto abbia ispirato il personaggio di Seydou, un ragazzo senegalese partito con il cugino alla volta dell’Italia.
“Il lavoro di sceneggiatura di Io Capitano si muove partendo da un grande lavoro di documentazione, parlane dei ragazzi che avevano vissuto questa esperienza di viaggio.” – ha spiegato Matteo Garrone alla Mostra del Cinema di Venezia – “Uno dei principali autori che ci ha aiutato molto soprattutto nella prima parte del film è Mamadou Kouassi. È un Road movie ma anche un viaggio di formazione. Il film si muove su un piano più di realismo che in qualche modo mi rimanda a Gomorra e su un piano più fiabesco che rimanda al mio ultimo film Pinocchio.”
“L’idea di partenza è quella di raccontare una sorta di controcampo rispetto a quello che siamo abituati a vedere, barconi che arrivano dal Mediterraneo” – ha proseguito il regista del film, di cui abbiamo parlato nella recensione di Io Capitano – “Col tempo ci siamo abituati a pensare a queste persone come numeri invece dietro ci sono sogni, famiglie e desideri. Puntare la macchina da presa dall’Africa verso l’Europa per vivere insieme a loro quel viaggio che solitamente in occidente non ha una forma visiva.”