La rom-com di Will Gluck, Tutti tranne te, nelle sale italiane da questa settimana, ha riportato in auge una hit del 2004, Unwritten di Natasha Bedingfield. Il pezzo pop accompagna diverse sequenze importanti del film con Sydney Sweeney e Glenn Powell e col suo mood leggero conquista davvero tutte e tutti.
Così, come successo con Murder on the dancefloor per Saltburn (e Running up the hill per Stranger Things), il brano è diventato subito virale. Ma cosa significa e perché è importante per il film? La canzone è una sorta di mantra per il protagonista di Tutti tranne te, un uomo (Glenn Powell) che nonostante l’apparenza forte e risoluta, nasconde paure e fragilità. E che nei momenti di stress fortissimi crea una bolla felice ascoltando in cuffia Unwritten.
Il senso è tutto nel ritornello in cui la cantante inglese invita a liberarsi dalle inibizioni e a godere delle piccole cose belle della vita, come la pioggia sulla pelle. Una sensazione così particolare che nessuno può provare al posto di un altro. Così come nessuno può sostituirsi a noi, perché la vita si vive in prima persona.
Feel the rain on your skin
No one else can feel it for you
Only you can let it in
No one else, no one else
Can speak the words on your lips
Drench yourself in words unspoken
Live your life with arms wide open
Today is where your book begins
The rest is still unwritten
Rivolgendosi a un pubblico ideale, Bedingfield parla della bellezza di essere sé stessi. E di affrontare la nostra esistenza a braccia aperte. Scrivendo i nostri giorni uno per uno, perché il finale è tutto da scrivere (non scritto, unwritten appunto).
In una deliziosa commedia – di cui abbiamo parlato nella recensione di Tutti tranne te – che è una rilettura molto libera di Shakespeare, la canzone trascinerà tutte e tutti i personaggi in un grande momento corale. Sulle orme di Il matrimonio del mio migliore amico, che è omaggiato a più riprese nel film.
Unwritten è stata così trascinante, da essere proposta più volte sul set per mettere il cast nello stato d’animo giusto. “Su 50 giorni di riprese, in almeno 42 alla fine di ogni scena dicevamo: ‘È il momento della canzone’“, ha detto a Hollywood Reporter il regista Will Gluck.