Il film: Tutti tranne te (Anyone But You), 2023. Regia: Will Gluck. Cast: Sydney Sweeney, Glen Powell, Alexandra Shipp, GaTa, Hadley Robinson, Michelle Hurd, Dermot Mulroney, Darren Barnet, Rachel Griffiths. Genere: commedia romantica. Durata: 104 minuti. Dove l’abbiamo visto: al cinema, in lingua originale.
Trama: Due giovani che si odiano devono fingersi una coppia per non mandare all’aria un matrimonio.
Il ritorno della commedia romantica sul grande schermo? È ciò di cui si parla da qualche settimana negli Stati Uniti, in seguito al successo del nuovo film di Will Gluck (uno che nell’ambito ha già mietuto consensi con Easy Girl nel 2010 e Amici di letto nel 2011, e torna a progetti con un target più adulto dopo il dittico di Peter coniglio), che va a completare quello di Fidanzata in affitto la scorsa estate e di Ticket to Paradise nell’autunno del 2022. In parte avrà beneficiato il fatto che, tolto il terzo titolo, si tratta di produzioni Sony/Columbia, vale a dire l’unica major hollywoodiana che non ha un proprio servizio streaming (i suoi film vanno in un primo tempo, dopo i canonici novanta giorni in sala, su Netflix, e in seguito anche su Disney+) e punta sull’evento in sala.
Ma probabilmente, in un’epoca in cui il cinema americano è piuttosto casto, per non dire a tratti apertamente puritano, incide anche il fatto che, con l’eccezione di Ticket to Paradise che è PG-13, questi sono lungometraggi vietati ai minori secondo il sistema USA e mantengono la promessa insita in quel visto di censura: in altre parole, e scusateci il francesismo, in questi film, come quello di cui parliamo nella nostra recensione di Tutti tranne te, si tromba.
Ben (gli sta?)
Bea sta studiando giurisprudenza alla Boston University e si sta riprendendo da una rottura quando conosce Ben, che lavora per la sede locale di Goldman Sachs. I due escono insieme e passano una notte molto piacevole (per quanto casta), ma un fraintendimento la mattina dopo porta a un disprezzo reciproco che tinge di imbarazzo i loro incontri successivi, inevitabili poiché la sorella di lei, Halle, ha iniziato a frequentare Claudia, amica d’infanzia di lui. Quando le due decidono di convolare a nozze, l’intero gruppo è invitato a casa dei genitori di Claudia, in Australia, e parenti e amici cominciano a complottare affinché Ben e Bea possano andare d’accordo. Scoperto l’inganno, i due decidono comunque di fingersi una coppia poiché in zona ci sono due elementi di disturbo, ossia i rispettivi ex (Jonathan per lei, Margaret per lui), e comincia un gioco di messinscene che, paradossalmente, porterà i due litiganti a essere davvero onesti l’uno con l’altra, per la prima volta dai tempi di quell’appuntamento finito male.
Bea(ta gioventù)
Tra i motivi che si possono addurre al successo del film, iscritto in un genere che, seppure non con la stessa forza di decenni passati, si avvale ancora della presenza di determinati interpreti, c’è sicuramente la sintonia recitativa fra Sydney Sweeney (nota soprattutto per Euphoria e The White Lotus) e Glen Powell (lanciatissimo dopo il successo di Top Gun: Maverick). Due interpreti che funzionano sul piano estetico e quello della performance, disposti a mettersi in gioco senza remore in termini di risate (Powell, in particolare, si concede uno dei classici momenti di nudità umoristica che richiamano capisaldi della commedia vietata ai minori come American Pie). Nel cast di contorno, in quello che sembra un passaggio di consegne generazionale, spicca, nei panni del padre di Bea, Dermot Mulroney, che negli anni Novanta si fece notare in commedie romantiche più castigate ma comunque divertenti.
Molto rumore per…
Laddove Easy Girl si rifaceva piuttosto spudoratamente a La lettera scarlatta (con tanto di scena in cui Emma Stone consiglia al pubblico gli adattamenti precedenti da recuperare), a questo giro è stato scomodato Shakespeare (ma il dettaglio è stato taciuto in sede di marketing), con un adattamento molto libero di Molto rumore per nulla, le cui battute appaiono a mo’ di didascalie al fianco di nomi noti come Ben(edetto), Bea(trice), Leo(nato) e altri. Una scelta a suo modo filologica per ravvivare il filone della commedia sexy all’americana, se si pensa alle implicazioni del titolo originale del testo del Bardo: Much Ado About Nothing, dove nothing cela il duplice significato nascosto di no thing (allusione agli organi genitali femminili) e di noting (all’epoca eufemismo per l’atto sessuale). In altre parole, e come esplicita la commedia stessa, un pettegolezzo su persone che vanno a letto insieme, ma con una connotazione più sinistra rispetto alla versione odierna dove la “ciupa dance” – come direbbe Luciana Littizzetto – è incoraggiata da tutti, genitori inclusi.
E risero felici e contenti
Rispetto ai film precedenti, dove la componente autoironica era parte integrante del meccanismo, qui Gluck, lavorando con un copione meno brillante, rimane un po’ a metà, firmando una commedia che si prende abbastanza sul serio ma al contempo esibisce la sua natura spassosamente derivativa (“Mi è uscita così”, dicono i personaggi nelle poche occasioni in cui citano direttamente la fonte shakespeariana). Manca il coraggio, compensato però da una volontà sincera di far ridere con approccio classico ma non datato, puntando su una premessa elementare ma ricca di gag (d’altronde ci sarà un motivo se il canovaccio del Bardo è diventato il modello per gran parte delle relazioni di stampo simile al cinema e in televisione) e un cast in sintonia con la missione a base di eros, farsa e romanticismo. Tre ingredienti che in questo caso non creano nulla di rivoluzionario, ma a loro modo sono comunque eclatanti per aver riconfermato che questo tipo di intrattenimento non è di sola competenza di Netflix e Prime Video.
La recensione in breve
L'affiatamento tra Sydney Sweeney e Glen Powell dà il giusto pepe a questa rilettura molto libera e basilare di uno dei testi più noti di Shakespeare.