Per Ferzan Ozpetk il cinema è una questione personale. Questo vuol dire che, gran parte delle storie portate sul grande schermo in questi anni, provengono tutte dalla sua vita. Che nasca da esperienze vissute da altri accanto a lui o in prima persona, la scintilla creatrice parte sempre da un’emozione autentica trasformata poi in racconto ed immagine.
Lo stesso processo, dunque, è accaduto per Nuovo Olimpo, il film presentato alla diciottesima edizione della Festa di Roma, di cui è possibile leggere qui la recensione, e che è attualmente disponibile sulla piattaforma streaming Netflix. Come raccontato dallo stesso regista, infatti, tutto prende spunto dai suoi primi anni giovanili in Turchia, quando il cinema era ancora un sogno e l’amore riempiva la vita di emozione ed aspettative ma anche di timore. Lo stesso sentimento che, ad oggi, viene narrato nella pellicola con un rimpianto nemmeno troppo sottile ed un ricordo destinato a non svanire mai. Per comprendere meglio, però, l’intenzione di questa nuova avventura cinematografica del regista turco, proviamo a dare la spiegazione del finale di Nuovo Olimpo.
L’amore mai vissuto
Al centro di questa vicenda in apparenza piccola e quotidiana, che va insinuandosi nella sfera personale con l’ambizione di rimandare anche l’immagine di un paese, ci sono Enea e Pietro, interpretati da Damiano Gavino e Andrea Di Luigi. Sono entrambi belli, giovani e pieni di speranze. In un’Italia degli anni settanta sconvolta dalle manifestazioni e da una condizione politica instabile, trovano rifugio tra le sale buie ed i corridoi del cinema Nuovo Olimpo. Nel cuore di Roma, dunque, questo luogo diventa una sorta di terra di nessuno dove quella che veniva considerato come “l’amore diverso” può trovare una possibilità di espressione.
Questo, dunque, è il posto che incornicia il loro primo incontro, la nascita di un rapporto tanto breve quanto intenso che ha la durata di una notte trascorsa insieme in una casa di Trastevere. Il loro è un sentimento con un potenziale enorme ma che, cede alla casualità degli eventi esterni, perdendo l’occasione di una concretizzazione effettiva. Un elemento, questo, che non solo allontana i due protagonisti ma, allo tesso tempo, diventa il particolare essenziale per arrivare ad un finale dal sottotono malinconico e quasi inevitabile. D’altronde pochi elementi narrativi hanno lo stesso potenziale di un sentimento mai consumato. Questo, infatti, nell’immaginario collettivo assume il ruolo del rapporto perfetto, dell’amore unico ed indissolubile proprio perché non vissuto. E, incastonandolo nella fissità di un ricordo ideale, Ozpetek costruisce un epilogo che rispetta pienamente questa perfezione mettendo a confronto la realtà con il possibile.
Il potere dello sguardo
Altro elemento essenziale che caratterizza il finale di Nuovo Olimpo e gran parte del film è lo sguardo. A questo, infatti, è affidata l’occasione del secondo incontro tra Enea e Pietro, dopo ben trent’anni. Allo stesso tempo, poi, è sempre lo sguardo a dettare il ritmo lento e silenzioso del loro inevitabile addio in un vicolo del centro.
Così, diventati adulti, i due tornano ad intrecciare le loro strade per un fortuito e sfortunato evento. Enea, regista ormai di fama mondiale, rimane ferito agli occhi durante la prova di una ripresa. Trasportato immediatamente in ospedale, ad operarlo è proprio Pietro, rinomato chirurgo romano. In questo modo tra i due si riaccende un dialogo inconsapevole, almeno per quanto riguarda Enea. L’uomo, infatti, è completamente bendato e non può vedere chi ha di fronte. Nonostante questo ci sono delle note che risuonano in modo familiare alle sue orecchie, andando a stimolare quell’affinità fatta di amorosi sensi provata da ragazzo.
In questo tipo di situazione, dunque, Pietro sembra essere la parte in vantaggio proprio perché ha la piena visione di chi ha di fronte a sé. In realtà, però, la cosa non è così scontata. Da parte sua, infatti, Enea ha una sensibilità che lo porta a vedere ed intuire nonostante la momentanea cecità.
La vista, dunque, non tradisce. Di qualunque tipo essa sia e se, ovviamente, si ha intenzione di vedere. Ed è proprio quello che accade alla moglie di Pietro. La donna, infatti, si trova di fronte allo svelamento di quell’amore passato eppure ancora presente tra i due uomini. Un invito a cena basta per renderla consapevole del suo ruolo di ripiego e poco importa se quel rapporto non ha mai preso veramente forma. E grazie ad uno sguardo inequivocabile tra di loro, spinge il marito a rincorrere Enea in strada, terminata la cena.
Un confronto che i due svolgono avvolti in una sorta di silenzio religioso, mistico. Perché le parole non potrebbero che rovinare ciò che lo sguardo percepisce. In quel caso, infatti, ogni discorso è ridondante. I due sanno perfettamente che le loro vite hanno preso strade diverse ma, allo tesso tempo, sono consapevoli di essere i custodi di qualche cosa d’importante, durato il tempo di un secondo ma capace di sopravvivere in eterno. Per questo motivo non poteva esserci finale migliore di un malinconico sguardo da parte di Pietro mentre Enea torna al suo mondo. La macchina da presa, poi, rimane fissa sulla strada vuota avvolta nel buio e nelle luci del centro, lasciando allo spettatore il tempo di confrontarsi con il vuoto lasciato da quell’amore. Ma sarà veramente così?
L’elogio del se
Inaspettatamente, mentre si attende una dissolvenza, la camera gira e si lascia trasportare dai rumori proveniente da un luogo ancora non ben definito. Un passo alla volta, poi, si scopre una trattoria come tante piena di gente. Al suo interno, però, ci sono Enea e Pietro, seduti ad un tavolo a chiacchierare trent’anni prima di quell’addio.
In sostanza Ozpetek presenta non un finale alternativo ma una finestra su di un universo parallelo dove è stato realizzato l’ipotesi del loro amore. In questo spazio che non esiste, ma che avrebbe potuto, si va realizzando l’elogio del se. L’ipotetica realtà in cui l’umanità non si scontra con i capricci del caso, rimanendone vittima. In questo modo, dunque, di fronte l’ineluttabilità delle scelte fatte e delle vita costruite, esiste una malinconica possibilità di credere Enea e Pietro insieme, fermi nell’eternità magnifica della loro giovinezza.