Il cinema di Sofia Coppola può piacere o meno, ma questa autrice ha almeno un grande merito, raccontare con partecipazione l’adolescenza. O meglio, quel momento così particolare in cui una ragazza diventa donna, con tutte le difficoltà e i tormenti che un passaggio del genere comporta. È un filo rosso che avvolge (a volte stritola) tutta la sua produzione artistica. E che notiamo bene nell’ultima sua fatica, Priscilla, biopic dedicato alla compagna di Elvis Presley, in uscita il 21 marzo (qui la nostra recensione). È come se Sofia Coppola riuscisse a mimetizzarsi nelle sue eroine, rubandone lo sguardo. E in questo momento di connessione è forse nascosto il senso profondo di una poetica a volte fin troppo minimalista, ma onesta. Attraverso questo approfondimento dedicato alle figure femminili che hanno costellato il cinema di Sofia Coppola vogliamo provare a tratteggiare gli aspetti peculiari di un’autrice che in prima persona ha lavorato (lottato?) per trovare una sua voce autentica.
Sofia allo specchio
Abbiamo parlato di mimesi, di capacità di nascondersi, quasi scomparire nelle sue protagoniste. Forse è proprio questo che rende il cinema di Sofia Coppola così particolare, la sua ossessione per la crescita. Il desiderio nemmeno troppo recondito di diventare grandi. Lei, che ha debuttato nel 2000 dietro alla macchina da presa con un vero cult movie, Il giardino delle vergini suicide, ha dovuto affrancarsi da subito dall’ingombrante figura paterna. Essere erede di Francis Ford Coppola non è un cimento da poco, eppure la sua non è la storia di una figlia d’arte inquieta e disperata, anzi. Francis Ford riconosce subito nella figlia una personalità unica, tanto da girare nel 1989 un corto tratto da una sceneggiatura di Sofia appena diciottenne, La mia vita senza Zoe, parte del film collettivo New York Stories.
Compreso in breve tempo che la carriera d’attrice non faceva per lei (le critiche per la sua interpretazione ne Il Padrino III furono invero spietate), Sofia scopre quanto possa essere accogliente un set. Il suo esordio, come detto, è un vero film manifesto, in cui vediamo in nuce tutti i temi a lei cari: la difficoltà dei rapporti tra figlie e genitori (o tra giovani e figure genitoriali), la sensualità acerba dell’adolescenza, la religione, intesa come schema mentale difficile da sradicare. E quella certa propensione alla trasgressione che altro non è se non il desiderio più intimo per realizzare la propria identità di donne. Tutto questo raccontato con immagini rarefatte e con l’aiuto della musica che nel cinema di Coppola non è mai solo contrappunto alle scene, ma connessione poetica con esse.
Piccole donne
L’acme del suo cinema lo tocca con il magnifico Lost in Translation dove la protagonista femminile Charlotte, una radiosa Scarlett Johansson vive suo malgrado la storia d’amore più dolce mai vista sul grande schermo, senza mai pronunciare roboanti dichiarazioni sentimentali. Anzi, separandosi da quell’uomo buffo e malinconico (Bill Murray, epico) con cui condivide un pezzo di vita, tra le strade di Tokyo. Amicizia, amore, affetto per una figura quasi paterna, tutto si mescola in questa pellicola del 2003. Una fiaba incantevole in cui Sofia Coppola gioca con le forme morbide della sua eroina per mostrare una femminilità accogliente e allo stesso tempo ingenua. Una naïveté che non è mai volgare, semmai tenera e a tratti divertente. Così com’è tenera la giovanissima Cleo di Somewhere, contestatissimo Leone d’Oro a Venezia 2010, film che ancora una volta racconta il rapporto tra un padre, svuotata stella di Hollywood, e una figlia, unico rimedio possibile all’anaffettività dello showbiz.
Priscilla e Marie Antoinette
Ed eccoci arrivate a Priscilla, la protagonista dell’omonimo film con Cailee Spaeny (premiata all’ultimo festival di Venezia con la Coppa Volpi) e Jacob Elordi. Tratto dal romanzo autobiografico Elvis and Me, Priscilla è un interessante disamina sul potere. Un tema sotterraneo che viene nascosto dalle vicende sentimentali (a volte anche pruriginose) della coppia. E, curiosamente, è l’argomento che lega Priscilla ad un’altra opera apprezzata di Sofia Coppola, con un’altra eroina complessa del suo cinema, Marie Antoinette.
Priscilla Beaulieu ha 14 anni quando conosce Elvis Presley. Marie Antoinette sale sul trono di Francia a 15. Sono giovani, belle, piene di speranze, invidiate. Eppure, qualcosa nel loro cuore non funziona a dovere. Simboli del cinema minimale di Sofia Coppola, queste due donne non hanno solo in comune l’inquietudine dell’adolescenza, ma il doversi confrontare con le aspettative del loro ruolo. Priscilla è la moglie di re Elvis, Marie Antoinette è la Delfina di Francia. Il mondo pretende da loro certi comportamenti, sempre. Elvis vuole che la moglie sia a casa quando chiama. La corte vuole che la regina dia alla regno un erede maschio. Come si relazionano col potere, con le aspettative che si formano su di loro? Alla fine questo è il punto. Marie Antoinette (ancora Kirsten Dunst) fugge per preservare la sua vitalità, la fame di vita e non lasciarsi travolgere dall’indolenza insipida del consorte, Priscilla, invece, oppone al re del rock and roll la sua identità di giovane donna che vuole solo essere desiderata.
Il potere logora chi ce l’ha
Il confronto tra le due protagoniste e i rispettivi consorti è impietoso. Luigi XVI è un inetto, privo di sensualità e sessualità. Egli ingravida la sua consorte dopo anni di dubbi e tormenti e dopo aver subito rimbrotti anche feroci da parte di ogni parente. Il suo è solo un potere solo dinastico, mai messo in dubbio, ma che non corrisponde a una vera “potenza” maschile. Elvis (almeno per quello che appare nel film), invece, mette alla prova tutte e tutti, è sottilmente manipolatorio. Dietro ai bei modi da gentiluomo del sud cela un ignorante violento, manovrato a sua volta dal manager, il famigerato Colonnello.
È teatrale, drammatico. Brucia i libri di yoga e meditazione quando gli viene detto che possono distoglierlo dalla carriera, forgia Priscilla a sua immagine e somiglianza, truccandole gli occhi e scurendo i capelli. Maria Antonietta e Priscilla mal sopportano la vita di coppia. Esse hanno dovuto relazionarsi prima con il mito e poi con gli uomini. Scoprendo, a loro spese, quanto potessero essere fragili. Se la storia, però, ha cancellato prima, ultimo simbolo di un mondo davvero desueto, è stata più clemente con la seconda, la Priscilla di Coppola va via da un matrimonio ormai privo di vita. Questa piccola donna (le dimensioni mignon di Cailee Spaeny amplificano il senso di tenerezza che traspare da lei) costruisce da zero un esistenza nuova di zecca. Dunque, se Sofia Coppola si fonde ai suoi personaggi femminili, da qualche parte si nasconde anche in Priscilla. Magari in quel momento (che vediamo solo per pochissimi minuti), in cui si mette alla guida della sua auto per iniziare a costruire la vera identità. Sofia Coppola è una donna che ha afferrato la possibilità di esprimersi, di essere, attraverso il cinema. Senza messaggi rumorosi, ma creando figure femminili che ne riflettono il cuore.