Il film: Bob Marley – One Love, 2024. Regia: Reinaldo Marcus Green. Genere: Biografico, musicale, drammatico. Cast: Kingsley Ben-Adir, Lashana Lynch, James Norton, Jesse Cilio, Norval Marley, Michael Gandolfini. Durata: 107 minuti. Dove l’abbiamo visto: Anteprima stampa in originale.Trama:Dopo un fallito tentato omicidio su Bob Marley nel dicembre del 1976 a causa della situazione politica in Giamaica, il cantante reggae decide di partire a Londra dove registra l’album epocale intitolato Exodus.
Reinaldo Marcus Green torna dietro alla macchina da presa con un nuovo film biografico. Dopo aver raccontato l’ascesa delle sorelle Williams in King Richard – Una famiglia vincente, stavolta affronta la vita di un mito della musica leggera contemporanea, Bob Marley. Come vedremo nella nostra recensione di Bob Marley – One love il film di Reinaldo Marcus Green è un biopic classico con molte luci e qualche ombra. Nel complesso è un’opera godibile che però ci lascia con la voglia di saperne di più di un artista unico, scomparso giovanissimo, all’età di 36 anni, per un tumore fulminante. Al culmine di una fama che non l’ha mai cambiato.
Una terra martoriata
Negli anni ’70 la Giamaica è in preda ai tumulti sociali. Da un lato c’era il governo di Michael Manley, di matrice socialista. Dall’altro il Partito Laburista Giamaicano, molto più reazionario. Alle loro spalle, si agitano bande criminali rivali che resero l’atmosfera di Kingston irrespirabile. Al centro di questa lotta, Bob Marley, il figlio più noto dell’isola caraibica, prova con tutte le sue forze a ristabilire la pace. Nel 1976, alla vigilia del concerto Smile Jamaica, rimane vittima di un attentato assieme alla moglie Rita e ad altri membri della band. È l’inizio di una grande trasformazione per il musicista che di lì a poco si trasferisce a Londra, altra città in pieno fermento, per creare il suo album capolavoro, Exodus. E portare in alto la bandiera del reggae.
Il principe Bob
Scriviamo di Bob Marley – One love con tanti dubbi e qualche certezza. Partiamo da quello che non abbiamo apprezzato del biopic diretto da Reinaldo Marcus Green. La prima, e più evidente, è che sia stato scelto un protagonista molto distante dalla fisicità di Marley. Non solo Kingsley Ben-Adir non somiglia alla leggenda del reggae. Su questo si potrebbe in effetti sorvolare, considerato il fatto che non esistono cloni e che alla fine un film è la rielaborazione della vita di un personaggio, non la sua fotocopia. Il problema è che è decisamente più avvenente e bello e questa che è a tutti gli effetti una scelta registica ben mirata, sottrae forza alla storia del film.
Marley era gracile, non certo un Adone, eppure, la sua fisicità si trasformava completamente quando entrava nel flusso della sua musica. Sul palco diventava un gigante e questo aspetto manca totalmente nel film. Marley diventa una sorta di principe azzurro tormentato ed è privato della sua dimensione proletaria, imperfetta, verace. Non è cosa da poco. E non solo perché non si rispetta parte essenziale del percorso di vita e artistico di un musicista con la M maiuscola, ma perché di lui si offre al pubblico un ritratto quasi photoshoppato.
Tra pace e distruzione
Altro elemento che ci ha impedito di godere appieno del film è che si danno per scontati alcuni aspetti storici essenziali per lo sviluppo della trama, a partire dalla difficile situazione politica della Giamaica, solo abbozzata. Veniamo catapultate subito in una nazione tormentata da scontri sociali, senza però saperne di più. Anche dal punto di vista musicale, che poi dovrebbe essere il cuore di ogni biopic dedicato a un cantante, poco sappiamo delle condizioni che hanno reso possibile il miracolo Marley. La sequenza più interessante, in questo senso, è l’incontro a Londra tra Marley e i punk, con i Clash che cantano White riot. In quella frazione di secondo ci sono le due anime degli anni ’70. Quella inclusiva e pacifista del reggae e quella distruttiva del punk. Avrebbe meritato un piccolo approfondimento.
Chi era Bob Marley?
Alla domanda il film non risponde. Non del tutto, almeno. Ne esplora la sua dimensione da star, con una classica sequenza di montaggio in cui si mostrano tutti i successi del cantante dopo la pubblicazione di Exodus. Ma che Bob Marley sia stato un vero mito, capace di parlare a tutte e tutti, pur con la sua fortissima identità musicale, non sempre amata, lo sappiamo di nostro. E al netto di qualche frase motivazionale, buttata qua e là, Bob Marley resta un mistero. Invece, a fronte di una confezione artistica molto accurata e di una regia anche originale in alcuni punti, manca l’essenza di Marley. Desidereremmo saperne di più di lui, dei suoi demoni, del rapporto complesso con la moglie Rita e con il suo passato, a partire da un padre fantasma. Rispetto al King Richard del film precedente, però, che vi abbiamo recensito qui, la figura del protagonista è meno controversa, più eroica. Forse Green si è accontentato di questo, del fatto che il pubblico lo ami a prescindere, senza andare oltre. E con un team produttivo composto dai figli Cedella e Ziggy e dalla moglie Rita, il margine di azione è stato più limitato.
Evviva Bob!
Le insidie di un genere come il biopic musicale stanno nel fatto che, mescolando narrazione storica più o meno fedele e rielaborazione del mito, non sempre la quadra si trova con facilità. Il rischio è il racconto piano, senza vivacità registica. La regia di Green è piacevole e pur nella sua semplicità molto efficace. Così, come il lavoro degli interpreti, davvero meritevole. Kingsley Ben-Adir è meno dinoccolato e selvaggio di Marley, ma ne restituisce il pathos con forza.
Brava anche Lashana Lynch che non strafà mai. La sua Rita Marley è una sorta di eminenza grigia capace di comunicare con il marito a un livello più profondo. Nel complesso, però, non possiamo parlare di film riuscito. Ed è un peccato, perché se c’è un personaggio della storia della musica che avrebbe meritato un racconto di più ampio respiro, oseremmo dire epico, è proprio Bob Marley. Lui, con la sua capacità di rappresentare un intero popolo. E con una forza tale da conquistare tutto il mondo.
La recensione in breve
Come si fa a non canticchiare mentre si vede Bob Marley - One Love? Impossibile. Ma non basta di certo questo a fare di un film un buon film. L'opera di Reinaldo Marcus Green è piacevole e si lascia vedere con interesse, ma la sensazione è che il regista abbia sprecato l'occasione di mostrare al grande pubblico un ritratto più complesso e sfaccettato di un artista leggendario.
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