Il film: Quando Dio imparò a scrivere, 2022. Regia di: Oriol Paulo. Cast: Bárbara Lennie e Eduard Fernández. Genere: Thriller, crime. Durata: 155 minuti. Dove l’abbiamo visto: su Netflix in lingua originale.
Trama: Alice è un’investigatrice privata che si fa ricoverare, di sua spontanea volontà, in un manicomio. Il suo scopo è fare luce su un omicidio avvenuto nella struttura. Le cose, però, si riveleranno molto più complicate di quanto lei avrebbe mai potuto immaginare.
Se c’é uno spunto che può rendere un thriller affascinate é quello di essere ambientato in un luogo in cui realtà e menzogna, sanità mentale e follia, si mescolano costantemente: una manicomio. Come sa bene Martin Scorsese, visto il successo del suo Shutter Island, questo genere di contesto é perfetto per dare vita a storie intricate, ricche di colpi di scena e che lasciano lo spettatore a chiedersi costantemente di chi fidarsi e se quello che raccontano i personaggi sia risultato o meno delle loro turbe mentali.
Come vedremo in questa recensione di Quando Dio imparò a scrivere, il film diretto dallo spagnolo Oriol Paulo e tratto dal romanzo di Torcuato Luca de Tena condivide con il cult di Scorsese, oltre all’ambientazione (anche in questo caso poi ci troviamo nel passato, per la precisione negli anni Settanta, non negli Stati Uniti ma in Spagna) anche l’essere incentrato su un protagonista apparentemente sano che, circondato da malati di mente, deve scoprire una verità nascosta. Le premesse sono simili: invece che un agente federale che arriva in un manicomio per indagare su un caso, abbiamo una detective privata che si fa internare, fingendosi folle, per scoprire i colpevoli di un omicidio. Le cose, come in Shutter Island, risulteranno però molto più complicate di quel che sembrano inizialmente.
La trama: un caso da risolvere
Alice (Bárbara Lennie) è una donna estremamente benestante, con alle spalle una bella vita, un marito affascinante ed una carriera come detective privato. Sarà di sua volontà che si farà rinchiudere in un prestigioso ospedale psichiatrico, intenzionata a scoprire se, qualche mese prima, un giovane paziente si è suicidato o dietro alla sua morte sospetta c’è qualcosa di più. Ad ingaggiarla il dottor Dr. Raimundo García del Olmo, padre del defunto e amico del direttore della struttura.
La donna, che è estremamente capace ed intelligente, si accorgerà subito, appena entrata nel manicomio, che il caso non sarà così semplice da risolvere: i pazienti ricoverati sanno qualcosa? E il personale medico? Tra mille sotterfugi Alice riuscirà a racimolare qualche prova, ma le cose si faranno sempre più intricate e complesse, fino a farle dubitare della sua stessa sanità mentale. Come è possibile che il direttore della struttura, Samuel Alvar (Eduard Fernández), non si ricordi delle lettere che si sono scambiate per inscenare il suo ricovero? E perché suo marito sembra essere improvvisamente scomparso?
Un sceneggiatura intricata al punto giusto
Quando Dio imparò a scrivere, per quanto manchi forse della raffinatezza registica del film di Scorsese che citavamo in precedenza, è in grado di catturare fin da subito il suo spettatore, che viene trascinato in una storia che procede per colpi di scena, mettendo costantemente in discussione il ruolo della protagonista. A rendere il tutto ancor più interessante gli iniziali flashback sulla notte del presunto omicidio, che si riveleranno poi una chiave di lettura per il mistero più accattivante di quel che avevamo inizialmente immaginato.
Il minutaggio eccessivo (il film dura ben 155 minuti) potrebbe mettere alla prova qualche spettatore, ma la trama si fa progressivamente più coinvolgente, tanto da rendere certi dilungamenti meno tediosi, al punto da non inficiare assolutamente sulla godibilità della storia.
Un’ottima protagonista
Per rendere una trama così intricata convincente (anche nei suoi momenti più folli) è necessario un protagonista credibile, che porti avanti la storia e convinca lo spettatore della sua duplicità. Sarà sano di mente o sarà un folle come tutti gli altri? Bárbara Lennie si destreggia bene nel ruolo, insinuando il dubbio in chi guarda sulle sue vere motivazioni. La storia viene narrata tutta dal suo punto di vista, e per questo ci si ritrova a cambiare opinione sulla realtà dei fatti ogniqualvolta un colpo di scena ribalta la situazione.
A deludere, forse, il finale (che vi abbiamo spiegato in un approfondimento), che si ferma un attimo prima di un’ulteriore svolta, lasciandoci rivalutare quanto accaduto sotto una luce un po’ meno interessante di quella che ci aspettavamo. Anche questo, però, è a suo modo un colpo di scena, che farà sì che difficilmente il film di Oriol Paulo ci si levi dalla testa.
La recensione in breve
Quando Dio imparò a scrivere cattura lo spettatore in una storia ricca di stravolgimenti e colpi di scena. Un crime thriller che coinvolge e non lascia indifferenti, anche per la buona interpretazione della sua protagonista Bárbara Lennie.
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Voto CinemaSerieTV