Il film: The Monkey King, 2023. Regia: Anthony Stacchi. Cast: Jimmy O. Yang, Bowen Yang, Jolie Haong-Rappaport, Jo Koy, Ron Yuan, Stephanie Hsu, Hoon Lee, James Sie, BD Wong, Dee Bradley Baker.
Genere: azione, avventura, commedia, fantastico, animazione. Durata: 96 minuti. Dove l’abbiamo visto: su Netflix (screener), in lingua originale.
Trama: Una scimmia con un ego spropositato deve affrontare diversi pericoli, accompagnato da una ragazza umana.
Inizialmente partner di DreamWorks Animation per il mercato cinese, da qualche anno Pearl Studio ha un accordo con Netflix, producendo titoli in lingua inglese a tema cinema, raggiungendo un pubblico globale tramite lo streaming. È ciò che è accaduto nel 2020 con Over the Moon, esordio nel lungometraggio dello storico animatore disneyano Glen Keane, ed è ciò che accade ora con il nuovo film di Anthony Stacchi, noto per aver firmato per la Laika l’avventura in stop-motion The Boxtrolls. Per l’occasione, l’ispirazione proviene dal famosissimo romanzo Il viaggio in Occidente, le cui tematiche sono state rilette in chiave comica (tra i produttori c’è il celeberrimo attore e regista Stephen Chow), come cercheremo di approfondire in questa recensione di The Monkey King.
La trama: quando ti sale la scimmia
Secoli fa, da un uovo-roccia nasce una scimmia, il cui desiderio di mettere in mostra le proprie capacità stride con l’approccio più misurato del vecchio saggio che funge da maestro per i primati. Raggiunta l’età adulta, il problema dell’ego smisurato rimane, ma il destino vuole che sia proprio lui a portare a termine un viaggio pieno di pericoli, accompagnato dalla giovane umana Lin. A opporsi a lui è principalmente un drago, teoricamente temibile ma in realtà un gran piagnucolone incapace di muoversi sulla terraferma senza un’apposita vasca dato che fuori dall’acqua la sua pelle tende a seccarsi all’istante.
Il cast: nomi da ridere
Il tono del film si intuisce facilmente già solo dalla scelta delle due voci principali in inglese: Monkey King è Jimmy O. Yang (con Dee Bradley Baker a fare i versi quando è appena nato e non ancora in grado di esprimersi con la lingua umana), mentre Dragon King è Bowen Yang. Due comici, il primo noto al pubblico di Netflix per Space Force, il secondo da alcuni anni volto di punta della nuova generazione di Saturday Night Live. Insieme a loro ci sono altri nomi noti della comunità americana di origine asiatica, tra cui la recente candidata all’Oscar Stephanie Hsu (Everything Everywhere All at Once) e, un quarto di secolo dopo Mulan dove prestava la voce al generale Li Shang, l’attore BD Wong, per l’occasione reclutato per doppiare il Buddha.
Scontro fra culture
La firma produttiva di Stephen Chow, a cui abbiamo accennato in apertura, si sente soprattutto nell’impostazione visiva delle scene action, folli e coreografate in modo tale da sfruttare tutto lo spazio dell’inquadratura con il valore aggiunto delle prodezze fisiche a cui l’animazione può arrivare senza le limitazioni del live action. Ed è in quei momenti che il film spicca il volo, prima di cadere in picchiata quando la trama esibisce la debolezza di un approccio comico molto statunitense – per quanto ben supportato dalle voci originali che ci si mettono d’impegno – che non riesce a conciliarsi del tutto con l’epica del folklore cinese, dando vita a un progetto che vuole unire due culture ma si ritrova costantemente a dover decidere quale delle due sottolineare maggiormente, accantonando maldestramente i tentativi di simbiosi. Dalla sua ha soprattutto una durata indolore di 96 minuti, con un ritmo che nei momenti migliori riesce a mascherare l’indecisione di fondo. Anche perché i bambini, target principale di questa operazione, difficilmente faranno caso a quanto il progetto sia stato “algoritmato” quasi a morte.
La recensione in breve
Forse per questioni di algoritmo di Netflix, questa nuova collaborazione tra Cina e Stati Uniti rimane perennemente in bilico tra due culture, incerta sul da farsi, al netto di alcune trovate visive molto interessanti per le scene d'azione.
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