Toro Scatenato è tratto dalla storia vera del leggendario pugile italo-americano Jake LaMotta. All’unanimità considerato come uno dei capolavori cinematografici dedicati alla boxe, il film del 1980, con Robert De Niro, ha in qualche modo sublimato la vera storia di LaMotta, autore del romanzo biografico, Raging Bull: My Story, che poi Martin Scorsese ha adattato per il grande schermo. La Motta nacque a New York il 10 luglio del 1922, ed era soprannominato Raging Bull, toro scatenato appunto, per il suo stile pugilistico. Suo padre, Joseph, era un immigrato siciliano originario di Messina, mentre la madre, Elizabeth Merluzzo era nata negli Stati Uniti, in una famiglia italiana.
Prima di trasferirsi nel Bronx, dove crebbe e iniziò la sua attività sportiva, Jake LaMotta e la sua famiglia vissero per un breve periodo a Philadelphia. Ma gli anni di vita nel Bronx non furono semplici per il piccolo Jake, che sin da bambino era abituato ad azzuffarsi per strada, con il beneplacito del padre, per racimolare qualche soldo lasciato dai passanti. Lo stesso pugile raccontò di aver sempre portato con sé un punteruolo per difendersi dai ragazzi più grandi. «Lo tiravo fuori tutte le volte che cercavano di aggredirmi, per spaventarli. Un giorno lo scordai a casa e fui costretto ad usare i pugni. La paura aveva liberato questa dote», disse. Dunque, Jake LaMotta iniziò a tirare di boxe come difesa personale.
E in effetti il pugilato era uno sport ben si sposava con l’immagine del “cattivo ragazzo” che accompagnò la giovinezza di LaMotta, spedito in riformatorio per furto verso la fine degli anni ’30. Il momento cruciale fu nel 1941, quando Jake LaMotta a soli 19 anni diventò un professionista. La Seconda Guerra Mondiale imperversava, ma il pugile riuscì a evitare l’arruolamento per un disturbo alle orecchie. Ebbe così tutto il tempo per migliorare la sua tecnica, mettendola a frutto nel match decisivo del 16 giugno 1949 contro Marcel Cerdan (il boxeur francese era il grande amore di Édith Piaf che, dopo la sua tragica morte, gli dedicò l’Hymne a l’amour).
In quell’occasione LaMotta conquistò il titolo mondiale dei pesi medi, diventando una celebrità del ring. In un’intervista a La Repubblica, LaMotta confessò di essere arrivato alla possibilità di giocarsi l’ambito trofeo con la mediazione della mafia. Dovette perdere l’incontro con Billy Fox per poter sfidare Cerdan. E anche in quest’ultimo caso, le cose non filarono proprio lisce, visto che dovette “investire” 20.000 dollari per salire sul quadrato. Ne vinse altrettanti, più i soldi ottenuti dalla scommessa personale contro lo sfidante.
LaMotta difese il titolo contro il nostro Tiberio Mitri e con Laurent Dauthuille, vincendo in entrambi i casi. Il suo rivale per eccellenza, però, è un’altra leggenda della boxe, Sugar Ray Robinson. In carriera lo affrontò sei volte. Sei match di intensità inaudita, con la vittoria ai punti in 10 round del 5 febbraio 1943, che segnò la prima sconfitta per Robinson e l’unico successo per LaMotta nella lunga diatriba sportiva con l’afroamericano. Nel 1951 il duello più ricco di pathos, a Chicago, vinto nettamente da Robinson, ma con un LaMotta che non si diede mai per vinto, anche in condizioni oggettivamente difficili.
Restò in piedi, infatti, nonostante le ferite e i colpi subiti, perdendo solo perché l’arbitro fermò la sfida per manifesta superiorità di Robinson. Solo tre anni dopo il massacro di San Valentino, così passò alla storia il match, il ritiro dall’agonismo. Nel curriculum del toro del Bronx ci furono 106 incontri, con 83 vittorie, con 30 KO, 19 sconfitte e 4 pareggi. Una vita avventurosa, quella del pugile, segnata dal carcere, dagli scandali, da terribili liti col fratello (nel film interpretato da Joe Pesci), dalla morte di due figli e da sette matrimoni, spesso segnati da violenza domestica. LaMotta provò a combattere la sua auto distruttività riciclandosi in tanti modi. Fece l’attore (nel 1961 comparve ne Lo spaccone con Paul Newman), lo stand up comedian e il barman.
Fino a quando, grazie all’intercessione di Robert De Niro che trovò e amò alla follia il suo memoir, non si fece strada l’idea di un biopic a lui dedicato. Il primo copione fu scritto da Mardik Martin, ma lo script definitivo fu di Paul Schraeder. Nessuno si aspettava grandi cose da quel film, in primis Martin Scorsese che forse stava attraversando il periodo più buio della sua carriera e della sua vita (si stava disintossicando dalla cocaina). Eppure, la magia si realizzò lo stesso, oggi Toro Scatenato è considerato uno dei migliori film di Martin Scorsese, anche grazie alla magnifica fotografia in bianco e nero di Michael Chapman. Jake LaMotta allenò personalmente Robert De Niro che da par suo, per avere un’immedesimazione totale col suo personaggio, mise su parecchi chili, riuscendo a ottenere un Oscar come migliore attore protagonista. Il successo al botteghino tanto agognato non arrivò, ma le critiche al film furono eccellenti. E ancora oggi lo guardiamo con occhi estasiati.