L’11 ottobre 2022, presentando il programma completo della Viennale (20 ottobre – 1° novembre), la direttrice artistica Eva Sangiorgi ha risposto all’inevitabile domanda di rito sulla selezione di film russi e/o ucraini. A differenza di altri colleghi che hanno categoricamente escluso dalle loro selezioni lungometraggi con finanziamenti statali russi, Sangiorgi ha affermato di aver preso in considerazione anche le posizioni sociopolitiche dei registi, dato che le vere produzioni indipendenti in quel paese sono molto limitate. Ha anche selezionato due dei più recenti progetti di Sergei Loznitsa, habitué della Viennale (e uno dei sei registi che hanno firmato i trailer dell’edizione 2022, brevi filmati di massimo un paio di minuti che precedono alcune delle proiezioni ufficiali), nonché figura controversa nel contesto del dibattito culturale legato al conflitto tra Russia e Ucraina.
Il caso Loznitsa
Ucraino di origine bielorussa, Sergei Loznitsa si cimenta sia col documentario che con la finzione, con un’attenzione particolare alla prima forma espressiva per il suo uso dell’archivio per affrontare argomenti poco trattati. Nel 2021, per esempio, ha portato a Cannes (e successivamente a Vienna) Babi Yar. Context, sul massacro effettuato nell’omonimo luogo di Kyiv, dove 34.000 ebrei furono uccisi dai nazisti tra il 29 e il 30 settembre 1941. Una strage che, come ha spiegato lo stesso regista introducendo la proiezione viennese, era finita nel dimenticatoio perché per decenni il governo sovietico ne negò l’esistenza. Il 28 febbraio di quest’anno si è dimesso dalla European Film Academy perché riteneva insufficiente la reazione dell’organizzazione all’attacco nei confronti dell’Ucraina da parte dell’esercito russo. Meno di un mese dopo, è stato a sua volta espulso dall’Accademia ucraina per aver contestato la proposta di boicottare in toto la cultura russa, sostenendo che è importante giudicare le azioni degli artisti e non il loro passaporto. C’è anche chi ha messo in discussione la sua effettiva conoscenza di ciò che sta accadendo sul campo, dato che dal 2001 vive a Berlino, nonostante Loznitsa sia stato fra i primi a documentare il conflitto fra le due nazioni con il film Maidan, sulle proteste che hanno portato alla guerra del Donbass.
Il cinema russo nel 2022
Dopo l’inizio dell’invasione in Ucraina, il cinema russo è rimasto per lo più invisibile sul piano internazionale, per la politica dei festival che, nella maggior parte dei casi, non selezionano opere finanziate con fondi statali. Sostanzialmente sono due i titoli che hanno circolato negli ultimi mesi: Tchaikovsky’s Wife di Kirill Serebrennikov, in concorso a Cannes (e successivamente presentato altrove), e Fairytale di Alexander Sokurov, in concorso a Locarno (dopo essere stato rifiutato da Cannes e – pare – anche Venezia). Il secondo è un vero e proprio atto di resistenza, una condanna feroce delle dittature, al punto che inizialmente era in dubbio la presenza del regista alla prima locarnese a causa di precedenti divieti di lasciare la Russia per le sue posizioni apertamente antiputiniane. Il primo, invece, è stato oggetto di polemiche sulla Croisette nel momento in cui Serebrennikov, in conferenza stampa, ha esplicitamente ringraziato il suo principale finanziatore, l’oligarca russo Roman Abramovich, figura controversa per il suo presunto ruolo nell’ascesa al potere di Putin. Un elemento paradossale nel contesto di una filmografia, quella di Serebrennikov, che è mal vista dal governo russo per la presenza ricorrente di tematiche omosessuali (anche nel nuovo lungometraggio).
La guerra secondo Loznitsa
Se quindi è lecito interrogarsi sulla legittimità data al film di Serebrennikov, ufficialmente non nelle corde delle alte sfere russe ma finanziato da uno che con quelle alte sfere avrebbe un rapporto di amicizia non trascurabile, diverso è il discorso per Loznitsa, le cui analisi delle guerre che hanno devastato il Novecento rimangono lucide e indispensabili. Lo dimostrano anche i due titoli che abbiamo visto, uno dietro l’altro, a Vienna: nell’ordine, The Kiev Trial, che è praticamente il sequel di Babi Yar. Context, con il processo ai nazisti che ordirono il massacro, riportato tramite i filmati d’epoca; e poi The Natural History of Destruction, che opta per un approccio quasi muto nel mostrare la reazione degli inglesi alle aggressioni tedesche durante il secondo conflitto mondiale e le agghiaccianti immagini dei bombardamenti che rimangono fonte di tristezza anche quando teoricamente opera dei “buoni”. Uno sguardo, quello di Loznitsa, che non va trascurato in nome di dibattiti sterili e in parte mendaci sulla nazionalità del regista e le sue vere lealtà politiche.