The Guardian accusa Giorgia Meloni di voler controllare la cultura sfruttando la forza della Mostra su J.R.R. Tolkien, che si terrà dal 16 novembre 2023 all’11 febbraio 2024 alla Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma. Jamie Mackay, autore dell’approfondimento, si dice assai incuriosito dall’interesse – e, persino, dalla passione – del Primo Ministro italiano nei confronti dell’opera di J.R.R. Tolkien. Negli anni, Giorgia Meloni non ha nascosto di considerare Il Signore degli Anelli come un vero e proprio testo sacro, fondamentale per lei e la sua carriera.
Il Primo Ministro prenderà parte alla cerimonia di inaugurazione della Mostra Tolkien e, per organizzarla, il governo italiano ha speso circa 250mila euro. Jamie Mackay su The Guardian critica il fatto che gli italiani stiano sottovalutando la questione, considerata come un semplice atto di branding da parte di Giorgia Meloni. In realtà, secondo il giornalista, di sotto ci sarebbe qualcosa di più profondo e singolare.
Quando Il Signore degli Anelli arrivò per la prima volta sugli scaffali italiani negli anni Settanta, l’accademico Elémire Zolla scrisse una breve introduzione in cui interpretava il libro come un’allegoria sui gruppi etnici “puri” che si difendono dalla contaminazione degli invasori stranieri. I simpatizzanti fascisti del Movimento Sociale Italiano (MSI) colsero subito la provocazione. Ispirati dalle parole di Zolla, vedevano nel mondo di Tolkien uno spazio in cui esplorare la propria ideologia in termini socialmente accettabili, liberi dai tabù del passato. Giorgia Meloni non ha mai nascosto la sua passione per il Signore degli Anelli e come membro dell’ala giovanile del MSI, ha sviluppato la sua coscienza politica in quell’ambiente. Da adolescente ha persino partecipato a un “Campo Hobbit”, un ritiro estivo organizzato dall’MSI in cui i partecipanti si vestivano in abiti cosplay, cantavano ballate popolari e discutevano su come le mitologie tolkieniane potessero aiutare la destra post-fascista a trovare credibilità in una nuova era.
Con un po’ di immaginazione, le saghe della Terra di Mezzo si inseriscono piuttosto bene nella logica del populismo di destra contemporaneo. Jamie Mackay scrive: “Il Signore degli Anelli segue la logica di un gioco a somma zero, radicato nella metafisica cattolica. Ci sono hobbit ed elfi buoni che combattono gli orchi cattivi. C’è poco spazio per le sfumature. Mentre la maggior parte di noi probabilmente legge i personaggi buoni in termini apolitici, non ci vuole molto sforzo per piegare questa definizione a scopi nazionalisti. Nel suo libro, Giorgia Meloni fa proprio questo. Un momento prima ci dice che il suo personaggio preferito è il pacifico Samwise Gamgee. Poche pagine dopo, implicitamente, paragona l’Italia al regno perduto di Númenor e cita la chiamata alle armi di Faramir ne Le due torri. In definitiva, la scrittrice sembra considerare l’opera di Tolkien come una favola didattica antiglobalizzazione, un’epopea iperconservatrice che propugna una guerra totale contro il mondo moderno in nome dei valori tradizionali”.
Il giornalista chiosa: “La domanda su dove la politica culturale di Giorgia Meloni sia diretta rimane poco chiara. Il progetto culturale del Primo Ministro è ancora in fase embrionale e non c’è ancora traccia di una politica statale coesa. Tuttavia, i primi segnali sono preoccupanti. Nell’ultimo anno, molti hanno creduto all’idea che Giorgia Meloni sia una moderata. Si sono innamorati dei suoi sorrisi, del suo linguaggio corporeo e dei suoi modi di fare apparentemente sereni. Sotto la superficie, tuttavia, c’è un programma culturale profondamente preoccupante”.