Cos’hanno in comune François Ozon, Steve McQueen, Quentin Tarantino, David Cronenberg, Ridley Scott, Terence Malick e David Fincher? Tutti hanno lavorato a Michael Fassbender. C’è stato un momento, nella seconda decade degli anni 2000, in cui Michael Fassbender sembrava potesse essere la stella più luminosa di Hollywood. Per le sue capacità interpretative notevoli, certo, ma anche per il sorriso ammaliante e quell’indubbia capacità a scegliere sempre il film giusto e gli autori giusti. Poi, qualcosa si è interrotto. Nulla di grave, è solo il normale fluire di una carriera che non può avere sempre alti, ma può rallentare. Adesso che è tornato protagonista con il glaciale The Killer di David Fincher e con la divertente commedia calcistica di Taik Waititi Chi segna vince, proviamo a ripercorrere i momenti più belli e densi di significato della vita professionale di un attore amatissimo dai cineasti e dal pubblico.
Dall’Irlanda con amore
Michael Fassbender nasce in Germania da padre tedesco e madre irlandese, ma è nella terra di smeraldo che cresce e affina le sue doti attoriali. I suoi colori sono inconfondibili: capelli rossi, occhi blu. Difficile attribuirgli, insomma, un’altra nazionalità. Gli inizi non sono facili e avrebbero scoraggiato chiunque, ma dopo aver figurato nella serie di Steven Spielberg e Tom Hanks, Band of Brothers, Fassbender è pronto al grande salto. L’occasione arriva dalla piccola ma significativa apparizione in 300 di Zack Snyder. È il 2007 e per Michael stanno per aprirsi le porte del cinema che conta. Dopo il ruolo di Esmé in Angel – La vita, il romanzo di François Ozon, quell’attore dalla capigliatura fulva comincia a far parlare di sé.
Steve McQueen e la nascita di una stella
Il ruolo della vita arriva nel 2008 grazie a Steve McQueen, il regista che più di ogni altro capisce Fassbender e lo spinge al limite delle sue possibilità, anche fisiche, per ottenere da lui il meglio. L’attore infette è lo straordinario protagonista di Hunger, film vincitore Caméra d’or per la miglior opera prima al 61.mo Festival di Cannes. Un’opera durissima che racconta lo sciopero della fame dell’attivista nordirlandese Bobby Sands negli anni ’80. Un biopic anomalo, angosciante, né consolatorio né trionfalistico in cui il corpo di Fassbender si scarnifica quasi per intepretare gli ultimi giorni di vita di Sands. Fassbender fornisce una prova gigantesca, tutta giocata in sottrazione, in cui la sua figura si sovrappone a quella di Sands senza tuttavia mimetizzarsi in essa. Non somiglia affatto a lui e questo se possibile dà alla sua recitazione ancora più intensità. Da questo momento in avanti, Fassbender non sarà più solo l’attore dal fascino disarmante, ma un interprete capace di andare oltre i suoi stessi limiti.
Con Steve McQueen lavorerà altre due volte, in altre due opere importanti. La prima è Shame del 2011, in cui interpreta un uomo dipendente dal sesso, la cui vita affettiva viene azzerata da questa schiavitù. Amplificata da un rapporto ambiguo con la sorella. Fassbender si mette letteralmente a nudo (con una sequenza di nudo full frontal di cui molto si parla) e conquista al Festival di Venezia la Coppa Volpi come miglior interprete maschile. Poi arriva 12 anni schiavo, opera del 2013 che racconta la vera storia di Solomon Northup (Chiwetel Ejiofor), un violinista afroamericano protagonista di una vera Odissea nell’America della Guerra di Secessione. Nel film, premiato con l’Oscar nel 2014, interpreta Edwin Epps, un feroce schiavista sadico. Il ruolo gli fa ottenere la candidatura dell’Academy come migliore attore non protagonista. E rappresenta l’ennesimo tassello di una carriera ormai lanciatissima.
Tra cinema d’autore…
Dopo Hunger del 2008 ci sono Fish Tank di Andrea Arnold, coming of age drammatico di un’adolescente che prova attrazione verso il compagno della madre (Fassbender, appunto). E il ruolo in Bastardi senza gloria di Quentin Tarantino, in cui mostra le sue due identità culturali, quella tedesca e quella britannica, vestendo i panni di un soldato inglese che per poco non manda all’aria il piano dei Bastardi di Aldo Raine per uccidere Hitler. Ma è il 2011 l’anno di grazia. Assieme a Shame, infatti, Fassbender è il romantico conte di Rochester in Jane Eyre di Cary Fukunaga. E rimanendo in ambito di cinema d’autore di qualità più che certificata figura come Carl Gustav Jung in A Dangerous Method di David Cronenberg, assieme a Viggo Mortensen (Sigmund Freud) e Keira Knightley (Sabrina Spielrein).
…e blockbuster
Solo cinema d’autore per lui? Non proprio. Inizia per lui anche l’avventura nei panni di Magneto nella nuova rilettura degli X-Men di Matthew Vaughn. Avventura che dopo X-Men – L’inizio lo porterà a interpretare il mutante anche in X-Men – Giorni di un futuro passato (2014) e X-Men – Apocalisse (2016), entrambi diretti da Bryan Singer. E X-Men – Dark Phoenix (2019). A dimostrazione che Fassbender non abbia problemi con i classici blockbuster. Dei tanti ruoli di Michael Fassbender ne restano ancora due che spiccano su tutti gli altri. In Frank di Lenny Abrahamson del 2014 Fassbender è un enigmatico musicista con problemi di depressione che indossa per tutto il film una testa di cartapesta. C’è poi l’interpetazione di Steve Jobs nel biopic di Danny Boyle (e Aaron Sorkin). Conquista nel 2016 una nuova candidatura all’Oscar, stavolta come protagonista. Michael Fassbender compare nel Prometheus di Ridley Scott (2012) e in Alien: Covenant (2017), due film che non vengono apprezzati dalla critica.
E ora?
Da questo momento in poi la carriera di Michael Fassbender di certo non si blocca. La sensazione però è che l’attore irlandese non riesca più a trovare film in grado di esprimere al massimo il suo potenziale. Ma questo non è certamente un giudizio definitivo, anzi. Sembra proprio che Fassbender sia pronto a nuove sfide. Del bel The Killer di David Fincher vi abbiamo già parlato qui. C’è ora il film di Taika Waititi Chi segna vince. Si tratta di buffa commedia sportiva ispirata alla vera storia dell’allenatore Thomas Rongen (Fassbender) e della sua missione impossibile: rendere la nazionale di calcio samoana un squadra degna di questo nome. Una cosa è certa, a Michael Fassbender non spaventa mettersi alla prova, trovare spunti nuovi per reinventarsi. Non è quel genere di attore vecchia scuola, completamente dedito all’arte tanto da polverizzarsi in essa. Ma un solido interprete che si lascia plasmare senza paura.