Zerocalcare è tornato. Lo abbiamo aspettato per diverso tempo, curiosi di capire cosa ci avrebbe raccontato questa volta. Magari una rivisitazione di un suo fumetto. Oppure un nuovo viaggio esistenziale ed introspettivo ma sempre sulla scia del successo di Strappare lungo i bordi. D’altronde era lecito aspettarsi, visto il gargantuesco successo, un prodotto di quel tipo. Invece è arrivata Questo mondo non mi renderà cattivo. Sia chiaro, il legame tra le due c’è ed è fondamentale oltre che evidente. Eppure, come vedremo in questo articolo, i sei episodi mostrano un qualcosa di inaspettato. Una presa di posizione e di coscienza dell’autore per nulla scontata. Come se Zerocalcare avesse scelto di fare un passo avanti e di accettare definitivamente l’accollo di essere un autore e un intellettuale.
Cosa fare dopo Strappare lungo i bordi?
Strappare lungo i bordi era arrivata nel momento in cui ne avevamo più bisogno. Era il novembre 2021, venivamo dai 18 mesi più surreali della nostra storia recente. In un periodo in cui la tragedia ci aveva trasformato in animali apatici, l’arrivo della serie di Zerocalcare aveva contribuito a dare una scossa emotiva alle nostre esistenze. Inoltre aveva permesso al fumettista di allargare la sua (già enorme) cassa di risonanza mediatica. Per non parlare della rivoluzione che la serie ha rappresentato per il contesto delle produzioni animate italiane (in cui è però rimasta sostanzialmente un unicum per ora).
Era quindi lecito, se non scontato, aspettarsi un prodotto che seguisse quella via che così bene aveva funzionato. Non un sequel – come lo stesso Zero ha tenuto a specificare come prima cosa sul suo Instagram lo scorso novembre – ma comunque qualcosa che rappresentasse un seguito spirituale. Una serie che facesse dell’introspezione e del saliscendi emotivo il suo baricentro, nel tentativo di allargare ancora di più il pubblico attraverso gag ed emozioni trasversali. Insomma una serie che facesse contenta tutti: le case di produzione coinvolte, Netflix, il pubblico e la carriera di Zerocalcare. E tutto sommato era una missione semplice.
Questo mondo non mi renderà cattivo: un cambio di direzione
Un gol a porta vuota che sceglie di sbagliare. O meglio: decide di non calciare il pallone in quella direzione. Il legame con Strappare lungo i bordi esiste e anzi, come dicevamo nella nostra recensione di Questo mondo non mi renderà cattivo, rappresenta un passaggio necessario. Da una parte per aver rappresentato un laboratorio di sperimentazione per Zero a livello di animazione, dall’altra per aver presentato al pubblico il mondo dell’autore romano, il suo modo di pensare e i vari personaggi ricorrenti. In sostanza un modo per apparecchiare il tavolo da gioco e posizionare le pedine.
È proprio grazie a queste aspettative che si sono create nel tempo che Questo mondo non mi renderà cattivo risulta così sorprendente. Ci sono ovviamente le gag ricorrenti, le metafore legate alla cultura pop, la grande importanza della sfera emotiva, dell’introspezione e la presenza della gigantesca sindrome dell’impostore di Zerocalcare. Ma tutto ruota attorno a una storia fortemente politicizzata e improntata sull’attualità sociale di un quartiere che diventa specchio della nazione tutta. Non ci sono mezzi termini, nulla viene nascosto sotto il tappeto o affrontato in maniera tangente. Zerocalcare ha deciso di prendere di petto la questione come non aveva mai fatto prima d’ora.
Accollarsi il ruolo dell’autore intellettuale
L’orientamento politico di Zero è sempre stato chiaro e cristallino. Il suo racconto di Genova 2001, i reportage di Kobane Calling o No Sleep ‘til Shengal e le decine di parentesi e finestre presenti in tutte le sue opere. Eppure mai come in Questo mondo non mi renderà cattivo ha ricreato uno spaccato trasversale, variegato e dettagliato dell’attualità del nostro paese. Il suo sguardo cade su tutto e tutti: il mondo della politica in ogni sua frangia, i media, le produzioni culturali, la realtà del lavoro. Espone la sua stessa appartenenza politica nel modo più esplicito possibile, raccontando come ancora oggi partecipa a un determinato tipo di scontri. Mostra le posizioni in campo, dichiara quale parte sia quella giusta dal suo punto di vista.
Ma ragiona sulle varie sfumature e su tutte le contraddizioni che in questa realtà complessa che viviamo sono impossibili da evitare. Parla del lavoro e del rapporto tra questa sfera e quella dell’individuo come nessuno fa più in questo paese da decenni. Ragiona sul ruolo che ha il linguaggio, sia dialettale che sull’uso (e sul peso) dei singoli termini. E tutto questo lo fa all’interno di una grande produzione rivolta alle masse, in grado comunque di divertire come poco altro. Nel novembre 2020 usciva il numero dell’Espresso in cui Zerocalcare veniva presentato come “L’ultimo intellettuale”. Oggi sembra che lui stesso abbia deciso di assumersi quel tipo di accollo che gli era stato affibbiato. Noi non possiamo far altro che esserne contenti.