Il terzo episodio di The Last of Us, disponibile da ieri in versione originale sottotitolata su Sky e NOW, sta facendo molto parlare di sé in queste ore. Da una parte per il suo distaccarsi, modificare e approfondire con rispetto il materiale originale. Dall’altra per la capacità di narrare in circa 70 minuti un racconto di straordinaria umanità, delineando due personaggi e il loro percorso di vita insieme in un mondo in cui la speranza sembra aver ormai tolto le tende. Dell’episodio, delle sue eccezionali qualità tecniche, delle interpretazioni memorabili di Nick Offerman e Murray Barlett vi abbiamo parlato nella nostra recensione.
Nei paragrafi che seguiranno cercheremo di osservare con un altro tipo di sguardo, spoilerando là dove sarà necessario, questo terzo episodio di The Last of Us. Perché certo, la storia di Bill e Frank è uno splendido inno d’amore, di una dolcezza quasi insperata in un mondo a tratti così duro (il nostro, non quello creato da Druckmann). Eppure, dietro a quel cespuglio di fragole, a quell’ultima cena e a quella lettera, si cela anche un velo di egoismo. Una finestra aperta in grado di raccontarci tanto di noi quanto dell’anima più pura di The Last of Us.
Un amore senza colpo di fulmine ma costruito nel tempo
Uno dei lavori più straordinari che Druckmann e Mazin hanno fatto sul terzo episodio di The Last of Us è sul “non detto”. Un’operazione precisa al dettaglio per quanto riguarda tutta quella narrazione sommersa e non esplicitata nei dialoghi, evitando quella brutta sensazione di trovarsi davanti a una qualcosa di didascalico. In particolare si può notare sulle prime fasi dell’incontro tra i due veri protagonisti della puntata. Frank, una volta avuto la possibilità di uscire dalla buca in cui era intrappolato, inizia a osservare l’uomo davanti a lui. Si tratta di una persona che è stata in grado di sopravvivere fino a quel momento, di costruirsi un rifugio molto attrezzato, di disseminare trappole. È chiaramente un qualcuno di estremamente prudente e attento e gli sta puntando un fucile addosso. Eppure non solo non gli spara ma è addirittura disposto a lasciarlo andare. Frank nota che, per un qualche motivo, c’è margine di trattativa ed è pronto a sfruttare l’occasione.
Tutto questo percorso di narrazione in sottrazione continua fino alla scena del pianoforte. Frank osserva Bill e scopre, nel corso dei minuti, di avere un certo ascendente su di lui. Intuisce l’attrazione che prova nei suoi confronti. Ancora una volta è pronto a cogliere l’opportunità. La relazione tra i due che tanto ci ha colpito e con cui abbiamo empatizzato, non nasce dal proverbiale colpo di fulmine bensì da una necessità individuale di entrambi. Una duplice scelta egoista: Frank ha bisogno di un posto sicuro; Bill d’altro canto ha urgenza di un motivo per cui andare avanti e per cui lottare, come lui stesso dirà nella lettera finale. È solo in un secondo momento che nascerà il sentimento, un qualcosa di reale che necessita di lavoro e tempo per costruirsi. Lo stesso titolo della puntata “Long Long Time” si riferisce – oltre alla canzone di Linda Ronstadt e banalmente alla quantità di anni che copre l’episodio – a questo. A un amore magari non spontaneo ma non per questo meno profondo.
L’egoismo e The Last of Us
L’episodio continua e con lui l’incessante scorrere del tempo a scandire la narrazione. Noi come spettatori non possiamo far altro che ammirare il pezzo di bravura messo in piedi dalla serie. Ci innamoriamo nel tempo (per l’appunto) di Bill e Frank. Anzi, ci innamoriamo con loro. Le emozioni dei personaggi si fondono alle nostre, come due battiti che auto-regolandosi trovano un loro ritmo congiunto. Sullo sfondo però Druckmann e Mazin continuano con la loro narrazione silenziosa, facendo emergere nello spettatore sensazioni e pensieri contrastanti. Noi, grazie ai primi due episodi, sappiamo bene le condizioni di vita nel mondo di The Last of Us. Conosciamo cosa si è costretti a fare nelle zone di quarantena per un misero pasto liofilizzato. D’altro canto ci viene posto sotto gli occhi la condizione di due uomini che vivono con un’intera cittadina a loro disposizione, cibo di qualità, ottimo vino e un sacco di tempo. Da una parte c’è Joel che brucia corpi per buoni pasto, dall’altra Bill e Frank che coltivano fragole dopo una mattinata dedicata al jogging. Egoismo. O una mancanza di generosità, se preferiamo. Lo stesso vale per il finale, quando Frank decide di non voler proseguire la sua vita a causa della malattia. Una scelta che porterebbe inevitabilmente il compagno alla solitudine e su cui non c’è la minima discussione. Si limita a condividerla con lui. Bill d’altro canto vede così terminato il suo compito e decide di seguirlo.
Il senso di quel “Noi”
Anche in questo caso come al principio di questa relazione ci sono due anime che fanno scelte individuali ed egoiste, allineandosi l’una all’altra di conseguenza. Tutto l’episodio come abbiamo visto percorre questo doppio binario. L’egoismo che porta alla nascita dell’amore. L’amore che porta a comportamenti e istinti egoisti. Ma d’altronde non è l’intera opera di Druckmann a ruotare attorno a questi concetti? L’abbiamo sempre elogiata, il videogioco prima e la serie poi, per la sua capacità di creare emozioni pure in un mondo di mostri. Eppure The Last of Us ha sempre ruotato attorno sì all’amore ma, di pari passo, a quello che siamo disposti a fare per proteggere ciò che amiamo. Tutto è legato a quell'”Us” del titolo che non va però inteso come il “noi” di una comunità umana. Piuttosto deve essere interpretato per un “noi” di un nucleo familiare e/o affettivo. Nella lettera che Bill lascia a Joel, in quel riferimento al lavoro da compiere e alle conseguenze cui andranno incontro chi cercherà di opporsi, c’è tutto il significato sia dell’episodio che del finale del primo capitolo dell’opera di Druckmann.
Perché The last of Us è sempre stato questo. Un magnifico monumento all’amore più puro e alla quantità di egoismo che siamo disposti a mettere in campo pur di proteggerlo.