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Home » Streaming » Netflix » Chi era Lidia Poët, la prima avvocata italiana che ha ispirato la serie Netflix

Chi era Lidia Poët, la prima avvocata italiana che ha ispirato la serie Netflix

Interpretata in tv da Matilda De Angelis, Lidia Poët non fu soltanto una donna di legge, ma si occupò anche di importanti battaglie sociali.
Paolo RiberiDi Paolo Riberi20 Febbraio 20237 min lettura
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Lidia Poet
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È davvero il tormentone del momento: a pochi giorni dall’uscita, La Legge di Lidia Poët è già una delle serie più viste del catalogo Netflix non soltanto in Italia, ma anche su scala mondiale.
Come già vi abbiamo anticipato nella nostra recensione, il duo creativo formato da Matteo Rovere (Il Primo Re, Romulus) e Letizia Lamartire (Baby) ha davvero colpito nel segno, dando vita a un giallo leggero e frizzante ambientato nella suggestiva Torino di fine Ottocento.
Fin dalla pubblicazione del logo e delle prime immagini promozionali, la serie ha però messo in chiaro di voler puntare al massimo sulla componente pop, facendo di Lidia Poët un’icona paragonabile a quella di Enola Holmes, seppur nel più rigoroso rispetto dell’ambientazione storica di riferimento.

Nel ricostruire la figura della protagonista, magistralmente interpretata da una Matilda De Angelis in stato di grazia, si è quindi scelto di adottare un registro vivace a chiare tinte contemporanee, nell’intento di far avvicinare il grande pubblico a una figura oscura e sconosciuta.
La scelta risulta molto convincente, anche perché si tratta di un taglio autoriale deliberato e ben riconoscibile, che non dà adito di parlare di falso storico. Resta però fortissima la curiosità di passare da Netflix alla storia: chi era la vera Lidia Poët?

Prima della serie tv: la giovinezza di Lidia Poët

Lidia Poet

Lidia Poët è nata nel 1855 a Traverse di Perrero, in val Germanasca. Pochi anni prima, lo Statuto Albertino aveva concesso libertà di culto alla Chiesa valdese, a cui apparteneva anche la sua famiglia, così come quasi l’intera vallata.
Non si tratta di un dettaglio: la tradizione valdese, da sempre orientata alla lettura e allo studio individuale della Bibbia, aveva promosso da oltre un secolo una forte campagna contro l’analfabetismo, che invece rimaneva largamente diffuso nel resto della penisola italiana.
Fu anche per questo che Lidia ebbe l’occasione di intraprendere gli studi, e di scoprire una passione per le discipline umanistiche che, altrimenti, sarebbe rimasta del tutto ignota: in adolescenza si trasferì con la famiglia a Pinerolo, dove il fratello maggiore Enrico (interpretato nella serie tv da un ottimo Pier Luigi Pasino) era titolare di un prestigioso studio legale.

Il piano dei genitori era quello di fare di Lidia un’insegnante: la giovane frequentò una scuola magistrale in Svizzera, ad Aubonne, e conseguì una patente per l’insegnamento di inglese, francese e tedesco. Questi studi, peraltro, vengono brevemente richiamati anche nelle prime puntate della serie tv, in cui la protagonista si finge proprio un’insegnante.
Lidia, però, si ostinò a proseguire il proprio percorso di studi oltre quel traguardo, infrangendo una prima convenzione sociale del tempo: nel 1877 conseguì la maturità classica al liceo “Beccaria” di Mondovì, in provincia di Cuneo, e successivamente, dopo aver provato e abbandonato la facoltà di medicina, si laureò in giurisprudenza con il massimo dei voti all’Università di Torino.

La battaglia per diventare avvocato

Lidia PoetRimasta orfana dei genitori ma decisa a percorrere un sentiero ben più inconsueto di quello al quale era stata destinata dalla sua famiglia, Lidia Poët intraprese la via che conduceva all’avvocatura.
La situazione era spinosa: in tutto il neonato Regno d’Italia non c’era alcun avvocato di sesso femminile, ma lo Statuto Albertino non conteneva alcun divieto in tal senso.
Senza perdersi d’animo, per due anni fece pratica legale a Pinerolo nel prestigioso studio del senatore Cesare Bertea, ed ebbe modo di assistere a numerose sedute del tribunale locale.
Restava ancora la prova più dura, ossia l’esame di stato, che però Lidia superò brillantemente con una valutazione di 45 su 50.

Per un uomo, sarebbe stata la fine delle fatiche, e l’inizio di una florida carriera legale. Per Lidia, invece, le battaglie erano appena iniziate: dopo aver chiesto ufficialmente l’iscrizione all’Ordine degli Avvocati e Procuratori di Torino, l’ex ministro dell’interno Desiderato Chiaves e un altro prestigioso legale piemontese, Federico Spantigati, si opposero alla sua ammissione, e si dimisero per protesta.
Il 9 agosto 1883, tuttavia, l’Ordine riconobbe che “le donne sono cittadini come gli uomini” e accolse a maggioranza la sua domanda di iscrizione.
Il seguito l’abbiamo visto anche su Netflix: il procuratore di Torino impugnò la decisione di fronte alla Corte d’Appello, e questa cancellò l’iscrizione all’albo di Lidia Poët.

La giovane presentò ricorso alla Cassazione di Torino, ma questa confermò le posizioni del tribunale di secondo grado e sbarrò definitivamente le porte alla sua carriera.
Per tutta la vita, la testarda Lidia Poët continuò comunque a esercitare comunque la professione forense avvalendosi della firma di suo fratello Enrico. La svolta arrivò soltanto all’età di 65 anni, quando, nel 1919, una legge promulgata dal Parlamento chiarì una volta per tutte come le donne avessero libero accesso alla professione.

Le motivazioni del rifiuto

La Corte d'Appello dell'epoca, ubicata nella Curia Maxima di Torino.

Priva di solidi riferimenti normativi, dal momento che in ambito giuridico le limitazioni alla sfera giuridica soggettiva devono sempre essere formulate in maniera espressa, la Corte d’Appello si trovò ad argomentare le proprie tesi con motivazioni di ordine pubblico e biologico.
In prima battuta, osservò la magistratura torinese, la presenza di una donna in aula potuto sedurre i giudici e sviare la loro obiettività con la sua “leggiadria”: ieri come oggi, a quanto pare, la concezione – di matrice cattolica – della donna come fonte di peccato e tentazione è davvero dura a morire!

Il peggio, però, emerge sul fronte “biologico”: pur non menzionandole mai espressamente, la pronuncia, parlando delle peculiari condizioni della donna, fa implicito riferimento alle mestruazioni, che ostacolerebbero l’idoneità a un lavoro duro e costante come quello dell’avvocato.
La “sensibile premura” della corte, tuttavia, si concilia decisamente male con la diffusa pratica di impiegare le donne come operaie nelle fabbriche del tempo, con ritmi e carichi di lavoro infinitamente più gravosi di quelli odierni.
In quel campo, a quanto pare, non ci sarebbero stati problemi di sorta: una biologia decisamente strana, quella femminile!
Da ultimo, la corte si contraddice anche sul piano strettamente logico: il divieto di esercitare per le donne sarebbe stato implicito all’ordinamento stesso, che le sottoponeva all’autorità del coniuge.

Pertanto, per gli atti compiuti con la toga, le donne avrebbero bisogno del consenso del marito, e questo sarebbe stato chiaramente inammissibile. Una concezione decisamente assurda e patriarcale, certo, ma in effetti così recitava la legge.
Salvo il fatto che… Lidia non era affatto sposata, e non era giuridicamente soggetta all’autorità di nessuno! Anche per questo motivo, anzi, non si sposerà mai, per tutto il corso della sua vita.

L’impegno sociale in difesa degli ultimi

Lidia Poet

Lidia Poët, tuttavia, non fu soltanto un coraggioso avvocato in lotta con un universo profondamente retrogrado e maschilista.
Al centro della sua attività ci fu anche un’importante battaglia sociale in difesa degli ultimi, di cui speriamo di vedere traccia nelle prossime stagioni, seppur con il piacevole taglio scanzonato scelto dagli autori.
In particolare, Lidia ebbe una presenza di spicco in vari Congressi Penitenziari Internazionali, durante i quali si batté con forza per i diritti dei carcerati, e in particolare per l’istituzione di tribunali e specifici istituti di detenzione per i minori.
Per promuovere questa causa, partecipò in particolare ai convegni di Roma, San Pietroburgo e Parigi, dove ricevette anche una prestigiosa onorificenza da parte del governo francese.

Al tempo stesso, anche per via dell’ingiustizia di cui era stata vittima in prima persona, si schierò apertamente nella campagna per la rivendicazione dei diritti civile della donna, e la sua voce fu una delle più autorevoli in seno al CNDI (Consiglio nazionale delle donne italiane).
Lidia Poët, però, volle sempre prendere le distanze dal movimento inglese delle suffragette, di cui dichiarò in più circostanza di non condividere le rivendicazioni e i metodi troppo radicali.
Insomma, la sua personalità fu decisamente poliedrica e originale, e sfugge anche oggi a qualsiasi tentativo di etichettatura, anche da parte del mondo femminista.
Anche in questo sta il fascino immortale di Lidia Poët…

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