Unabomber è al centro del documentario Unabomber: un nome con due volti, in onda stasera su Rai2. Perchè quella del “criminale bombarolo” che ha occupato le cronache tra gli anni ’70 e l’inizio dei 2000 è in effetti un maschera che nasconde due identità. Quella, mai scoperta, dell’italiano che agiva con motivazioni misteriose, e quella, nota, dell’americano Theodore Kaczynski. Ed è proprio da lui che parte il documentario, co-prodotto da RAI Documentari e Verve Media Company e diretto da Alessandro Galluzzi.
L’Unabomber americano si chiamava Theodore Kaczynski e mandava pacchi bomba in nome di una guerra personale contro la tecnologia. “Unabomber” è un acronimo che sta per University and Airline Bomber, nome in codice dato dall’Fbi, perché Kaczynski colpiva nelle Università e aveva cercato di fare una strage su un aereo in volo. Genio della matematica affetto da schizofrenia, a 27 anni si dimette dal corpo insegnanti dell’Università di Berkley e alla fine degli anni 70 esegue i primi attentati, che proseguono fino al 1995, con un bilancio di 3 vittime e 23 feriti. Negli Stati Uniti esplode il panico con lo stesso fragore delle bombe e l’Fbi scatena la più grande caccia all’uomo della storia americana, che si conclude con l’arresto di Kaczynski nell’aprile del 1996. Finisce così la parabola di uno dei più famigerati serial killer della storia americana.
Mentre i giornali di tutto il mondo parlano dell’Unabomber americano, nel 1994 in Italia inizia a colpire l’attentatore del Nord-Est. Il gioco perverso e crudele dell’Unabomber italiano comincia senza clamori, seguendo un filo rosso noto solo a lui. Tra il 1994 e il 2006 Unabomber ha fabbricato più di 30 ordigni esplosivi, sempre più sofisticati e pericolosi. Semina terrore nelle sagre di paese, sulle spiagge dell’Adriatico, nei supermercati, nei cimiteri, nelle chiese. L’incubo inizia dalla sagra degli Osei il 21 agosto del 1994 a Sacile, in provincia di Pordenone. Un “tubo bomba” lasciato nei pressi di una fontanella ferisce superficialmente una mamma e le due sue figlie. E’ il primo di una serie di attentati, uno davanti a un centro commerciale di Pordenone, un altro vicino alla Chiesa ad Aviano e due ordigni ad Azzano Decimo durante la sfilata di Carnevale.
Il sospetto che nel Nord-Est possa esserci un pericoloso attentatore che si diverte a lasciare in giro tubi bomba si trasforma in angosciosa certezza in un’assolata giornata dell’estate del 1996. Sulla spiaggia di Lignano Sabbiadoro, un bagnante, Roberto Curcio, aprendo l’ombrellone, vede cadere un oggetto avvolto in una carta di giornale, che gli recide l’arteria femorale. Resta in coma per diverse settimane. L’allora sostituto Procuratore di Venezia, Felice Casson, fa compiere dei raffronti agli artificieri, che non lasciano dubbi. La mano dietro gli attentati è sempre la stessa.
Dopo una sosta di quattro anni, Unabomber torna a farsi vivo il 6 luglio del 2000, sempre a Lignano Sabbiadoro, lasciando un tubo metallico sul bagnasciuga. A raccoglierlo è il carabiniere in pensione, Giorgio Novelli, che subisce ferite gravi ma riesce a salvarsi. Torna la psicosi di Unabomber ma cambiano gli ordigni, non più tubi bomba ma piccoli congegni in miniatura che mette nei supermercati. Prima in una confezione di uova, poi di salsa di pomodoro, fino all’accanimento sui bambini. Nell’attentato del 25 aprile 2003 ferisce Francesca Girardi, che perde l’occhio destro e subisce gravi danni alla mano e al braccio destro.
Sul fronte delle indagini, la Polizia crea il pool anti-Unabomber diretto da Diego Parente. L’inchiesta arriva sulla scrivania del Pubblico Ministero di Venezia Luca Maria Marini, che individua un sospettato principale. L’ingegner Elvo Zornitta è un grande esperto di esplosivi, i suoi spostamenti lavorativi sono compatibili con gli attentati di Unabomber. Nel 2006 l’ultimo colpo, lungo l’argine del fiume Livenza.
Poche settimane dopo, il colpo di scena che fa anche da passaggio dalla fase degli attentati a quella dei processi. Durante una delle tante perquisizioni a casa dell’ingegner Zornitta, i carabinieri sequestrano un paio di forbici. Le lame sono compatibili con i tagli trovati su un lamierino rinvenuto nell’ordigno nell’inginocchiatoio della Chiesa di Sant’Agnese a Portogruaro il 2 aprile del 2004. Unabomber sembra smascherato, anche perché gli attentati finiscono. Ma la perizia richiesta dall’avvocato difensore di Zornitta, Maurizio Paniz, dimostra come il lamierino sia stato tagliato con le stesse forbici, in un momento successivo, dopo il sequestro delle forbici nell’appartamento di Zornitta.
Il responsabile della manomissione viene individuato in Ezio Zernar, direttore tecnico del laboratorio investigazioni criminali della Procura di Venezia. Le conseguenze sono enormi. Il Procedimento contro Zornitta viene archiviato, il pool anti-Unabomber viene sciolto ed Ezio Zernar verrà condannato per aver manomesso il lamierino. L’inchiesta si conclude con un grande punto interrogativo. Unabomber è destinato a rimanere un volto senza nome e a lasciare dietro di sé una lunga scia di sangue e di dubbi.