“Questo programma include rappresentazioni negative e/o maltrattamenti di persone o culture. Questi stereotipi erano sbagliati allora e lo sono adesso. Invece di rimuovere questi contenuti, vogliamo riconoscerne l’impatto dannoso, imparare da essi e stimolare il dialogo per creare insieme un futuro più inclusivo. Disney è impegnata a creare storie con temi ispiratori e ambiziosi che riflettano la ricca diversità dell’esperienza umana in tutto il mondo.” Non ci crederete, ma semmai decideste di (ri)vedere Aladdin su Disney+, classico d’animazione Disney diretto da John Musker e Ron Clements nel 1992, vi ritrovereste questo disclaimer di grande importanza prima dell’introduzione al lungometraggio. Perché?
Prima di rispondere a questa domanda, riflettiamo ancora una volta sull’eredità di questo film animato che rappresentò una delle punte di diamante di quello straordinario decennio, gli anni ’90, in cui Walt Disney Animation Studios stava rivoluzionando il suo piano produttivo a favore di storie e fiabe ispirate alla grande tradizione letteraria e mitologica di tutto il mondo, senza rinunciare ai suoi asset di maggior richiamo: canzoni in stile Broadway di grande orecchiabilità e sidekick animaleschi di enorme richiamo per il pubblico di più piccini. Esattamente trenta anni fa, il 3 dicembre 1993 arrivava in Italia Aladdin, ad un anno di ritardo rispetto all’uscita nelle sale statunitensi; anche da noi fu un successo strepitoso, a cui seguirono però anche molte polemiche.
Le mille e una notte d’Oriente
La linea produttiva ed artistica di Walt Disney Animation Studios era chiara sin dalla “primavera” al box-office di qualche anno prima, con il successo strepitoso de La Sirenetta: celebrare tutta la magia che aveva reso riconoscibili al mondo intero le grandi storie Disney e regalare ad un bacino di spettatori pre-digitali una serie di liberi ed inediti adattamenti di leggende, racconti, fiabe e romanzi da ogni parte del globo e cultura. Nel 1989, il Rinascimento della major parte con la piccola sirena di Hans Christian Andersen, prosegue due anni dopo con La Bella e la Bestia dalla fiaba francese di Madame LePrince de Beaumont, ed approda nell’immaginifica Agrabah di Aladdin.
Liberamente ispirato alla fiaba “Aladino e la lampada magica” contenuto nell’imprescindibile “Le mille e una notte”, il lungometraggio d’animazione diretto dalla coppia Musker/Clements (il 31° nel canone annuale dei classici Disney) fu un successo immediato e dirompente: in primis perché spezzava drasticamente il tono con quello che era decisamente più sobrio ed equilibrato in La Bella e la Bestia e La Sirenetta, a favore di una comicità slapstick e verbale assolutamente inedita per la Casa di Topolino. In secondo luogo, perché il personaggio secondario del Genio della Lampada ci mise veramente pochissimo ad entrare nel pantheon dei più proteiformi personaggi Disney mai realizzati. Per verve, polimorfismo visivo, e soprattutto, per un tappeto (pardon) musicale composto da Alan Menken, Howard Ashman e Tim Rice ancora oggi nell’immaginario collettivo di più di una generazione.
Un cartoon per adulti?
Eppure, a 30 anni di distanza dalla sua uscita, Aladdin non soltanto è uno dei classici targati Disney più celebrati e riveriti da grandi e piccini, ma anche uno dei più controversi. E il disclaimer all’inizio della visione sulla piattaforma di streaming è il cappello di una valanga di polemiche e letture a posteriori che hanno letteralmente fatto imbufalire alcuni esponenti della cultura araba, a cui arriveremo a brevissimo. Di certo, tutto si può dire di Aladdin tranne che sia un film per adulti. Ed invece, per certi versi, lo è eccome, e tale fardello è uno degli elementi che rende il 31° classico d’animazione Disney un oggetto tanto affascinante quanto controverso. Perché il Genio della lampada ha avuto così tanto successo nell’immaginario collettivo di grandi e piccini? Perché questo film, ancor più che La Bella e La Bestia e La Sirenetta, ha letteralmente sfondato i record di vendita di merchandising ad esso ispirato?
Perché Aladdin è stata, a suo grande vantaggio, un’arma a doppio taglio: da una parte ha soddisfatto in pieno un pubblico di piccoli spettatori che si erano già fatti la bocca con i due film precedenti offrendo loro una delle fiabe più suggestive di sempre con al centro una storia d’amore semplicemente perfetta, dall’altra ha sorpreso genitori e nonni con reference, citazioni e rimandi ad un background televisivo e culturale solo apprezzabile da una audience matura. Ed in quest’ultimo elemento, esemplificative sono le molte forme e le altrettante identità di un Genio assolutamente fuori misura per i canoni delle spalle comiche tratteggiate da Disney: la creatura fiabesca la cui voce originale è del vulcanico Robin Williams ed in Italia del versatile Gigi Proietti si trasforma in continuazione, da macchina delle slot machine ad animali di ogni tipo, fino a fare letteralmente il verso alla voce, agli atteggiamenti e alle frasi più celebri di alcune delle personalità dello show business americano del tempo. Perché uno spettatore più piccino avrebbe dovuto cogliere tali sberleffi e citazioni ben gradite invece da mamma e papà?
Aladdin è anglicizzazione della cultura araba?
Di certo, uno dei punti di maggior discussione di un classico animato che sembra avere al suo interno diverse e più contraddittorie anime. Tra queste, quella che ha adirato a poco tempo dalla sua uscita la American-Arab Anti Discrimination Committee: lo sapevate che la canzone introduttiva “Le notti d’Oriente” è stata in parte modificata nel testo a seguito di una rimostranza della Commissione? I seguenti versi vennero cambiati da “E ti trovi in galera anche senza un perché/che barbarie, ma è la mia tribù” della versione originale a “C’è un deserto immenso e un calore intenso/Non è facile, ma io ci vivo laggiù”, a causa di polemiche sul ritratto stereotipato ed inutilmente violento che il testo della canzone composta da Tim Rice e musicata da Menken faceva dell’antica cultura araba.
Inoltre, in seguito la American-Arab Anti Discrimination Committee criticò anche la rappresentazione dei due personaggi di Aladdin e Jasmine, considerandoli troppo anglicizzati e con uno spiccatissimo accento anglo-americano in netto contrasto con gli altri personaggi del film, i quali appaiono spesso e volentieri con la pelle scura, l’accento arabo, dei lineamenti grotteschi e che infine risultano fin troppo semplicisticamente villani ed avari. Una cornice pressappochista e “razzista” di una cultura lontana che Walt Disney Animation Studios tentava di celebrare con un’animazione all’avanguardia di grandissima efficacia accontentando capra e cavoli attraverso una storyline forse a tratti culturalmente grossolana, ma di rarissimo impatto sociale nell’anno della sua uscita. Perché quindi, nonostante le controversie, a trent’anni di distanza dall’uscita italiana Aladdin è ancora considerato un classico difficilmente ripetibile?
Tutti amano Aladdin?
Perché volente o nolente, ha colpito a segno nel suo non semplice intento: riproporre una fiaba lontana e senza tempo ad un pubblico di grandi e più piccoli che si stavano affacciando ad un decennio di grandissima trasformazione, sostenuta da una rivoluzione digitale sempre più vertiginosa. In questo, gli studios d’animazione si adeguarono alla perfezione, sfornando un’opera cinematografica dal tratto classicheggiante eppure al contempo moderno e dinamicissimo, popolata da personaggi secondari e di contorno al massimo della loro espressione proteiforme (non solo il Genio, ma anche il tappeto volante, la scimmietta Abu, il gracchiante pappagallo Iago); il tutto in cornice ad una storia d’amore che abbatte le classi sociali e promuove un sentimento reciproco genuino e pulito agli spettatori in fase di sviluppo.
Inoltre, volendo mettere da parte le innumerevoli controversie del film del 1992, Aladdin è anche e soprattutto il classico d’animazione di casa Disney più “programmatico” della fase del suo Rinascimento (qui il nostro approfondimento su tutti i Classici Disney); quello che sintetizza i suoi punti di forza ed anticipa i piani artistici dell’immediato futuro (nel celebre segmento musicale de “Il mondo è mio” Aladdin e Jasmine sorvolano a bordo del tappeto volante paesaggi greci e cinesi che ritroveremo, pari pari, in Hercules e Mulan), celebrando come pochi altri esempi nella sua pur sterminata produzione cinematografica tutta la sempiterna magia della Casa di Topolino. Se di Aladdin e dei film che sono usciti prima e dopo di esso non potete proprio farne a meno, vi consigliamo di leggere anche la nostra classifica dei 20 classici d’animazione Disney più sottovalutati, per (ri)scoprire alcune chicche ad oggi forse ingiustamente dimenticate nella grande produzione della Casa di Mickey Mouse.