Quello di Antonio Albanese è lo stesso percorso compiuto da tanti altri attori della sua generazione. L’inizio a teatro, nel leggendario Zelig, imparando a modellare sulle tavole del palcoscenico le movenze e i tic riconoscibili dei personaggi più svariati. Poi il debutto in televisione in una factory straordinaria come quella della Gialappa’s Band. Infine (ma non è certamente l’arrivo definitivo), il grande successo al cinema, come regista e come interprete. Dove di solito è alle prese con eroi il più delle volte dolci e dal buon cuore. O forse solo in grado di vivere con gentilezza in questi tempi frenetici e volgari. Come il suo alter ego Michele nel nuovo film di Riccardo Milani, Un mondo a parte.
Come vi abbiamo raccontato nella nostra recensione, nel film Albanese veste i panni di un maestro che chiede di essere trasferito in uno sperduto paese di montagna. E lì, tra neve e catastrofi di ogni tipo, deve lavorare fianco a fianco con la vice preside Agnese (la bravissima Virginia Raffaele) per far sì che la sua scuola non chiuda. È Antonio Albanese l’ultimo dei gentili? Proviamo a raccontarlo in questo nostro piccolo approfondimento.
Albanese il malincomico
Con cinque film all’attivo insieme, quello tra Antonio Albanese e Riccardo Milani è un sodalizio artistico molto solido. Evidentemente il regista sa come esaltare la naturale vena malinconica di questo attore dal temperamento unico, tagliando su misura per lui dei personaggi che non hanno paura delle loro fragilità, della loro diversità. La loro collaborazione inizia nel 2007 con quello che è diventato il fenomeno della stagione cinematografica, Come un gatto in tangenziale, al fianco di nostra regina del box office Paola Cortellesi. Il suo Giovanni è il frutto più classico di una cultura radical chic che si muove tra Capalbio e il progressismo all’acqua di rose, ma sa mettersi in discussione a contatto con il caotico mondo della neo proletaria Monica. Il successo è strepitoso, così come nel sequel. E dà la possibilità ad Albanese di esplorare ancora una volta con Milani le dinamiche narrative dell’uomo probo in un contesto fuori dall’ordinario. In grazie ragazzi, Antonio Albanese veste i panni di un attore che dovrà insegnare recitazione a un gruppo di detenuti, allestendo con loro uno spettacolo che riscatterà le vite di tutti. Albanese fa risuonare benissimo tutte le corde interpretative, alternando disillusione e ironia. Un registro che conosce a menadito e che ripropone, in modo molto più leggero, con Un mondo a parte.
Attore d’acqua dolce
Scorrendo la cinematografia di Antonio Albanese sono pochissimi i personaggi davvero cattivi da lui interpretati. Tra questi, il più villain di tutti è senz’altro Cetto La Qualunque. Un manigoldo così disgustoso che (quasi) ci fa rivalutare l’attuale classe politica italiana. Scorretto, perfido, respingente, è crediamo una maschera che lo stesso Albanese si diverte a indossare, perché profondamente distante da lui. Da autore, invece, Albanese preferisce dare voce a personaggi naif, degli adorabili outsider come Epifanio, che traspare in controluce nel protagonista del suo esordio registico Uomo d’acqua dolce. Un film, scritto con Vincenzo Cerami nel 1996, che piacque sì al pubblico, ma che non colpì più di tanto perché a differenza di un Carlo Verdone, Albanese non cavalcò da subito la potenza dei suoi personaggi televisivi al cinema. Insomma, spettatrici e spettatori si aspettavano un Frengo e Stop, con le giacche di paillettes, e si trovarono di fronte a un omino poetico che perde la memoria andando a comprare un vasetto di funghetti sottolio per la moglie incinta. Un po’ straniante, forse, ma tutto sommato molto sano per la carriera di un artista.
Perché se questo atto di disobbedienza nei confronti dei fan lo ha tenuto un po’ in disparte, almeno all’inizio, gli ha comunque dato la possibilità di svariare tra i generi. E di mettersi a disposizione di autori non proprio comici. Prendete Vesna va veloce di Carlo Mazzacurati, con cui gira anche La lingua del santo e La sedia della felicità. O l’intenso Giorni e Nuvole di Silvio Soldini, in cui Albanese interpreta un uomo di mezza età che deve fare i conti con la perdita del lavoro e con una crisi matrimoniale.
La gentilezza è rivoluzionaria
Temi che ritroviamo almeno in parte ne L’intrepido di Gianni Amelio dove l’attore lombardo è un “rimpiazzo” di professione. Ovvero prende il posto di chi, per un motivo o l’altro, non può svolgere il suo lavoro in quel determinato giorno, disinnescando così delle potenziali crisi. E soprattutto nell’inaspettato Cento domeniche, ultima regia di Antonio Albanese che interpreta un uomo mite i cui risparmi sono stati tutti polverizzati dalla sua banca. Tanto da spingerlo a una terribile reazione. Una sorta di Piovono pietre à la Loach e senza però l’epilogo quasi fiabesco del capolavoro del mastro britannico (qui potete leggere la nostra recensione). La cifra distintiva dei personaggi più belli di Albanese è quella che lo vede, suo malgrado, combattere con la cattiveria, la violenza, la sporcizia di un mondo che non ama le persone gentili e di buon cuore. Che anzi prova a eliminarle in tutti i modi. Uomini perbene che si ribellano in maniera inattesa o trovano il modo di essere amati e compresi, come capita in Un mondo a parte. Antonio Albanese ha dentro di sé la capacità di dosare dolore e ironia. Anche nelle sue maschere più feroci compare un barlume di fragilità a cui poterci aggrappare per non pensare che tutto sia perduto. E, allor stesso tempo, anche l’eroe più dolce ha un che di perfidia. Quel tanto per non farlo essere “frescone” come si dice a Roma. Con questa capacità di bilanciare gli opposti, Albanese ha costruito una carriera solida, omogenea ma non monocorde. E l’impressione che ci dà ogni volta è che sia davvero un uomo gentile.