Barbie, il nuovo film di Greta Gerwig, è ormai sulla bocca di tutti e mentre stiamo scrivendo queste parole il colorato adattamento cinematografico della bambola Mattel sta per segnare quota 20 milioni di euro di incasso in Italia e si accinge a raggiungere un miliardo di dollari in tutto il mondo. Un fenomeno mediatico a tutto tondo sorretto da una geniale ma robusta campagna marketing da manuale e da un entusiasmo trasversale che inonda un pubblico eterogeneo, di tutte le età e di entrambi i sessi.
Il Barbie della regista e sceneggiatrice statunitense però, non è semplicemente un lungometraggio destinato ad un pubblico di adolescenti o bambin*, nasconde al suo interno molteplici chiavi di lettura e significato, proprio come vi abbiamo illustrato nella nostra spiegazione del finale del film, così come nella nostra entusiastica recensione a caldo. E se oltre a tutto ciò vi dicessimo che Barbie è anche una sagace e commovente rilettura tutta al femminile della fiaba di Pinocchio di Carlo Collodi? Gli omaggi e i riferimenti al celeberrimo racconto per ragazzi dell’autore toscano nel campione d’incassi di Greta Gerwig effettivamente si sprecano…
I fili che governano Barbie Land
Nel mondo immaginario (?) di Barbie Land tutto funziona alla perfezione, senza nessun intoppo: la società matriarcale governata dalle Barbie fa in modo che il loro regno prosperi nella pace e nell’armonia, anche se i Ken (controparte maschile delle donne al potere) non se la passano esattamente alla grande, accessori subordinati al fascino irresistibile delle Barbie della terra immaginifica della Mattel. In una società ideale come quella di Barbie Land, cosa può andare storto, quando le giornate delle nostre colorate e variopinte protagoniste vanno avanti sempre uguali a se stesse e con gli stessi riti ed abitudini?
Barbie Stereotipo (Margot Robbie) si rende sempre più conto che qualcosa non va nella sua apparentemente splendida routine quotidiana: la sua mente si fa sempre più offuscata da improvvisi pensieri di morte, le piante dei suoi piedi si tramutano improvvisamente costringendo la nostra protagonista a camminare “come un essere umano”, tutti sintomi precoci di quella che sembra essere a tutti gli effetti una vera e propria crisi esistenziale. Soltanto Barbie Stramba (Kate MacKinnon) conosce la chiave per risolvere il suo problema: spedire immediatamente Barbie Stereotipo nel Mondo Reale a cercare la sua proprietaria umana, perché solo lenendo il possibile rapporto tra bambola e bambina la nostra bionda protagonista potrà tornare a vivere la sua vita senza preoccupazioni e…pensieri di morte.
Bambola o burattino?
In un mondo immaginario in cui le fila delle vite dei suoi abitanti sono governate dalle bambine del mondo appartenente alla realtà, le bambole Mattel del film di Greta Gerwig sembrano più ricordare i burattini utilizzati da esperti esseri umani, sagome e forme antropomorfe prive di vita propria se non quando si muovono e si animano con voci ed aplomb, letteralmente nelle mani degli abili burattinai di turno. Insomma, impossibile non compiere questa riflessione neanche troppo velata nel corso del film e non tornare alla mente ad una suggestione multimediale che ha cresciuto ed educato generazioni e generazioni di bambini ed adolescenti: la fiaba senza tempo di Pinocchio.
Pubblicata per la prima volta nel corso del XIX secolo dal fiorentino Carlo Collodi, questa favola destinata ad un pubblico squisitamente infantile e con uno scopo prevalentemente educativo sul valore dell’istruzione e dell’ubbidienza, nel corso dei secoli è diventata tra le opere letterarie più trasposte ed adattate di sempre, tra cinema e televisione. Anche il Barbie di Greta Gerwig, con il progredire degli eventi narrativi, non lascia dubbi sull’influenza che Pinocchio ha avuto nella stesura della sagace sceneggiatura cinematografica curata dalla stessa regista assieme al suo compagno di vita Noah Baumbach.
Barbie è una rilettura femminista della fiaba di Collodi
Sì, perché alla fine della fiera il film di Barbie funziona anche come rilettura tutta al femminile (e femminista!) del Pinocchio di Carlo Collodi. Quando la protagonista interpretata da Margot Robbie si avventura nel Mondo Reale per trovare la sua proprietaria umana in compagnia del Ken sempliciotto di Ryan Gosling, si accorge che la persona che sta cercando non è una bambina, bensì una madre di famiglia che lavora alla Mattel come designer di nuove bambole (una brillante America Ferrera), anch’essa alle prese con una crisi esistenziale. Praticamente la vera origine della spaccatura tra Mondo Reale e Barbie Land e dei sintomi semi-depressivi della bionda protagonista del film di Greta Gerwig.
Una presa di coscienza, questa, che Barbie Stereotipo accoglierà con grande empatia e commozione, sinceramente emozionata dalla progressiva scoperta di tutta la tenera e spesso contraddittoria bellezza di cosa significhi vivere, invecchiare (e morire) nel mondo degli esseri umani. Particolarmente significativi dunque sono due incontri che la nostra protagonista titolare compie nel suo rocambolesco viaggio nel Mondo Reale: il primo, casuale, alla fermata degli autobus, quando guarda con commozione sincera al volto carico di rughe ed esperienza di un’anziana signora (cameo della costumista premio Oscar Ann Roth), dicendole con le lacrime agli occhi le parole “Sei bellissima”. Il secondo incontro è forse ancora più importante e strettamente ancorato al legame sottile tra il film della Gerwig e la fiaba di Collodi.
La bambola che voleva diventare una donna vera
Quando Barbie Stereotipo fugge dalle grinfie del consiglio d’amministrazione di casa Mattel capitanato da Will Ferrell, trova rifugio all’interno della stanza del 17° piano del grattacielo del brand americano di giocattoli; lì fa un inaspettato incontro con un’anziana signora con capelli bianchi, collana di perle ed un abito color turchese (vi ricorda qualcosa?) che la aiuterà ad uscire dal labirintico edificio. Soltanto nell’atto finale del film veniamo a scoprire che quella vecchina non è altri che il fantasma(!) di Ruth Handler (interpretata nel film da Rhea Perlman), prima presidente donna della Mattel e vera ideatrice della famigerata bambola; alla fine del film, in un’emozionante scena sospesa tra realtà ed immaginazione, lo spirito di Ruth accompagna Barbie nella sua scelta finale: rimanere una bambola oppure diventare una vera donna, nel Mondo Reale?
La nostra protagonista, alla fine del suo viaggio cinematografico, sceglierà di affidarsi alla magia della vita umana in tutte le sue splendide sfumature, accettando di divenire una creatrice a tutti gli effetti e non un oggetto creato. Abbigliata in un elegante completo blu proprio come la Fata Turchina di Pinocchio, Ruth Handler infonde alla fine il dono della vita in Barbie, la bambola che voleva diventare una donna in carne ed ossa. Uno straordinario ed emozionante omaggio al fascino eterno della favola di Carlo Collodi che rende questo fenomeno cinematografico, a conti fatti, una delle riletture più originali ed audaci di Pinocchio mai arrivate sul grande schermo.