L’attesa è finita. Martedì 27 febbraio Dune: Parte Due è finalmente approdato nelle sale, e non ha deluso le attese: come vi abbiamo spiegato nella nostra recensione, l’adattamento a firma di Denis Villeneuve è un autentico capolavoro contemporaneo, e c’è già chi – a ragion veduta – lo ha definito un vero e proprio Impero Colpisce Ancora della Generazione Z.
Ovviamente per valutare l’impatto culturale dei due film del 2021 e 2024 servirà un po’ tempo, così come per comprendere quale sarà il loro ruolo nella storia della settima arte.
Nel frattempo, però, possiamo già constatare come i due film di Villeneuve siano riusciti a spezzare una maledizione lunga quasi 60 anni: dal 1965, anno di uscita in libreria del classico della fantascienza cartacea di Frank Herbert, Dune aveva progressivamente assunto la nomea del romanzo “impossibile da adattare”.
A coniare questa definizione era stato il grande Alejandro Jodorowsky, che negli anni Settanta aveva tentato invano di trasformarlo in un’epopea lunga 10 ore, con Orson Welles, Salvador Dalì e Mick Jagger. Ci avevano provato anche David Lean e Ridley Scott, senza risultato: l’unico a portarlo in sala era stato David Lynch nel 1984, con un adattamento che però non era riuscito a rendere giustizia al romanzo.
Com’era prevedibile, per trovare la formula vincente e adattare questo “romanzo impossibile”, Villeneuve ha dovuto effettuare delle nette scelte di campo, riducendo all’osso alcuni elementi ed enfatizzandone altri. Nel complesso, però, il livello di fedeltà filologica all’originale è davvero sorprendente, ed è paragonabile a quella della trilogia de Il Signore degli Anelli di Peter Jackson. Puntiamo però il riflettore sui cambiamenti, pochi ma molto significativi: ecco le cinque maggiori differenze tra saga cartacea e adattamento cinematografico.
1. Alia, la bambina-abominio
Nella seconda metà del romanzo incontriamo a un significativo salto temporale, nel corso del quale vede la luce la figlia di Jessica e del defunto duca Leto, Alia. Nel film, invece, l’intera si svolge nell’anno 10.191 D.G.: di conseguenza, Alia comunica con la madre direttamente dal suo grembo, influenzandone le scelte, la personalità e la condotta. Soltanto tramite gli occhi di Paul abbiamo una visione della futura Alia adolescente, che in un eventuale Dune: Parte Tre avrà il volto di Anya Taylor-Joy.
Nel romanzo, invece, Alia è una bambina dai grandi poteri e dalle capacità inquietanti, temuta e molto mal vista dai Fremen del Sietch Tabr: le Bene Gesserit la definiscono un abominio, perché il suo feto è stato inondato dall’Acqua della Vita al momento del rito iniziatico di Lady Jessica.
Pur avendo le sembianze di una bimba di tre anni, Alia ha la consapevolezza e le capacità espressive di una donna adulta, smaliziata e calcolatrice.
Nel film del 1984 di David Lynch, la bambina-abominio era presente, e conferiva un ulteriore tocco di suggestione e atmosfera weird alla pellicola. Villeneuve, ben consapevole che far recitare una bambina con la voce e gli atteggiamenti di una donna adulta sarebbe stato estremamente difficile – e in qualsiasi caso avrebbe suscitato una ridda di polemiche (si veda il prossimo punto!) – guarda a The Tree of Life di Terrence Malick e reinventa la sua identità come feto parlante. Il cambiamento permette anche di ridisegnare la storia di Lady Jessica, che anche nel romanzo a tratti si trasforma in un personaggio freddo, machiavellico e manipolatorio: nella versione di Villeneuve il punto di svolta è rappresentato dall’influenza di Alia, la bambina-abominio che sta crescendo nel suo grembo.
2. La morte del Barone e l’ascesa del Messia oscuro
Nel romanzo, a uccidere il barone Harkonnen non è Paul, bensì la piccola Alia, che lo colpisce con lo spillone avvelenato Gom Jabbar.
Anche alla luce di quel che si è detto nello scorso paragrafo, l’idea di una bambina di tre anni che uccide il villain sarebbe risultata estremamente problematica (soprattutto oltreoceano, dove l’immagine di una bambina che brandisce un’arma e la rivolge contro un uomo disarmato avrebbe riaperto vecchie e nuove cicatrici).
Da parte sua Villeneuve, eliminando Alia dallo scenario, affida quel gesto a Paul, con un cambio di rotta che riteniamo particolarmente significativo e ben riuscito. Nel romanzo Paul Atreides, pur avvalendosi della manipolazione e dimostrando poco riguardo per la perdita di vite umane, finisce per emergere come una sorta di eroe tragico, che libera Arrakis e inaugura una nuova era per l’universo. Al momento dell’uscita del libro, molti reinterpretarono il personaggio come un campione della luce: anni dopo, anche Jodorowsky e Lynch andarono in quella direzione, fraintendendo in pieno il messaggio dell’autore.
In effetti, Frank Herbert non aveva mai inteso fare di Paul un eroe benevolo, bensì un Messia oscuro, che partendo da una buona causa la trasforma in un incubo degno delle pagine più nere del Novecento. Il fraintendimento divenne esplicito al momento della pubblicazione del secondo libro, Messia di Dune, e costrinse persino l’autore a cambiare casa editrice! Nel suo sequel, infatti, Herbert traccia un esplicito parallelismo tra l’impero di Muad’dib e il Terzo Reich nazista, facendoci capire come le utopie possano generare mostri. Facendo macchiare il Paul di Thimothée Chalamet dell’uccisione a sangue freddo del barone, Villeneuve lo trasforma in un personaggio assai più simile ad Anakin che a Luke Skywalker, e rende giustizia alla visione del creatore della saga.
3. Leto, il figlio di Paul
Sempre per via del mancato salto temporale di tre anni, nel film non assistiamo neppure alla nascita del figlio di Paul e Chani.
Il neonato, chiamato Leto come il compianto padre di Paul, avrebbe dovuto rimanere ucciso nell’attacco sferrato dagli Harkonnen e dai Sardaukar imperiali contro il Sietch Tabr. La sua morte avrebbe dovuto provocare un dolore immenso nel protagonista, e lo avrebbe spinto a cercare vendetta con ogni strumento a sua disposizione, armi atomiche incluse. Inutile tentare di negarlo: la mancanza di questa filone narrativo toglie un tassello importante al cammino oscuro del protagonista, ma Villeneuve riesce comunque a compensare con un racconto cronologicamente più compatto.
Ma soprattutto, il Paul cinematografico sceglie consapevolmente di diventare il leader fondamentalista Muad’dib, anziché cadere vittima di eventi drammatici: un ulteriore correzione di rotta del regista franco-canadese per delineare l’ascesa del Messia oscuro di Arrakis. Tra gli spettatori più critici e i lettori più intransigenti, di certo non mancherà chi punterà il dito contro una presunta mancanza di coraggio di Villeneuve: un’opinione senz’altro legittima, che però a nostro avviso viene comunque annullata dall’ottima gestione della spirale discendente di Paul.
4. La sorte di Thufir Hawatt
Che ne è stato di Thufir Hawatt, il fidato calcolatore umano (mentat) e capo della sicurezza di casa Atreides? Nell’adattamento cinematografico di Denis Villeneuve il personaggio sparisce dai radar dopo l’assalto degli Harkonnen nella seconda metà del primo film, e non ricompare più in Dune: Parte Due. Nel libro, la vicenda è assai più complessa, e si lega a una sottotrama che era già stata omessa nel primo film: per distogliere l’attenzione da Wellington Yuhe, il vero traditore, gli Harkonnen spargono la voce che sia Jessica la traditrice, e Thufir Hawatt cade nell’inganno. Dopo la caduta di casa Atreides, il mentat capo della sicurezza giura fedeltà agli Harkonnen, e diviene il consulente di Feyd-Rautha e del barone, che gli promettono di ottenere vendetta contro Jessica.
Con il passare degli anni, i due lo ricattano e lo costringono a fare tutto ciò che vogliono utilizzando un veleno, ma quando Paul rivela di essere sopravvissuto, Thufir Hawatt si rifiuta di attaccarlo, preferendo morire avvelenato.
5. Il conte Hasimir Fenring
Nel libro, lady Margot Fenring (interpretata al cinema da una magistrale Léa Seydoux) è sposata con il più fido vassallo dell’imperatore, il conte ed eunuco genetico Hasimir Fenring. L’uomo, descritto come “uno spietato assassino dai modi di coniglio”, accompagna lady Margot su Giedi Primo in occasione dell’esibizione di Feyd-Rautha nell’arena, e intima al barone di sottostare all’autorità dell’imperatore, minacciando di negargli il permesso di nominare un erede. Fenring ha intuito come Arrakis, con il suo deserto e i suoi culti messianici, possa diventare la patria di una nuova orda di guerrieri fanatici ancor più invincibile dei Sardaukar imperiali, e proibisce agli Harkonnen di tentare di reclutare i Fremen e farli passare dalla loro parte.
Hasimir Fenring, inoltre, è un potenziale Qwisatz Haderach con poteri simili a quelli di Paul, ma non è in grado di utilizzarli appieno a causa dell’incidente genetico che lo ha reso sterile. Al momento della battaglia finale, il conte si rifiuta di eseguire gli ordini dell’imperatore, e non attacca Paul perché prova empatia per lui e per il suo triste destino: tutto sommato, l’intera sottotrama è assai poco incisiva e avrebbe finito per togliere enfasi al duello precedente tra Paul e Feyd-Rautha.