A suo tempo fenomeno editoriale romance nato su Wattpad (e poi pubblicato da Salani), ora film Netflix pensato per i tormentati adolescenti di oggi: Fabbricante di lacrime (qui la nostra recensione) è pronto a diventare la nuova ossessione degli giovani abbonati della piattaforma streaming. Esploso in seno all’ascesa del BookTok italiano, tra centinaia di migliaia di ragazzine che ne documentavano la lettura con l’ausilio di evidenziatori e post-it colorati, e il mistero di un’autrice nostrana dall'”esotico” nome Erin Doom, rimasta anonima per anni, Fabbricante di Lacrime non poteva che essere considerato per il passo successivo, quello della trasposizione cinematografica.
Per farlo, poi, non poteva che trovare i suoi protagonisti tra gli idoli di quei teenagers che tanto ne avevano osannato la controparte cartacea: il rapper Biondo (Simone Baldasseroni) nei panni dell’oscuramente affascinante protagonista maschile, Rigel, e Caterina Feroli, debuttante nel mondo della recitazione ma attivissima su social come Instagram e TikTok. Insomma, un’operazione dal successo garantito, anche solo per la capacità di attrarre un vastissimo bacino di spettatori (tra l’altro tra i favoriti di Netflix, a cui dedica costantemente nuovi prodotti).
A visione ultimata e dopo aver assistito alla reazione del pubblico (ancora una volta, sì lo ripetiamo, sui social), ci siamo resi conto che Fabbricante di lacrime non è il solito film romantico young adult, ma è decisamente qualcosa di più: nell’arrivare sul piccolo schermo la storia della Doom, che a modo suo funzionava sulla carta stampata, si è trasformata in una versione grottesca e quasi parodica di se stessa. Tra frasi direttamente tratte dalle pagine del libro (“Io e lui eterni e inscindibili. Lui stella io cielo”, è una di quelle che ci è rimasta più impressa) recitate con enfasi sospirata e situazioni tra l’assurdo e il ridicolo, il film diretto da Alessandro Genovesi è molto peggio di quel che mai ci saremmo potuti aspettare: ma è proprio qui che, in un inaspettato tuffo carpiato, Fabbricante di lacrime stupisce ed esce illeso, almeno dal punto di vista degli ascolti e dell’accoglienza. Vi sfidiamo a scrollare TikTok senza trovare qualcuno che ne parli, che ne documenti la visione con gli amici, che lo prenda in giro registrandone i momenti migliori: nel giro di poche ore è diventato virale e probabilmente a brevissimo si posizionerà tra i più visti della piattaforma. Com’è che si dice? “Non importa quello che dicono di te, purché se ne parli“. E Fabbricante di lacrime non si è è accontentato della mediocrità, del dimenticatoio immediato, ma ha deciso andare un po’ più in là, di diventare talmente brutto da far parlare il più possibile di sé. Anche questa, in fin dei conti, è una strategia.
Di che cosa parla Fabbricante di lacrime?
Ma facciamo un passo indietro per ragioni di completezza, di che cosa parla il nuovo film Netflix? Al centro di questa storia ci sono Nica (Feroli) e Rigel (Baldasseroni), due bambini cresciuti insieme in un orfanotrofio degli orrori (che non a caso si chiama “Grave”, tomba). Lui prodigio del pianoforte, lei ragazza bellissima ma impacciata con la fissa per la cura degli animali, arrivati a diciassette anni vengono – colpo di scena – adottati insieme da una famiglia amorevole: peccato che i due non si sopportino, o almeno lui l’ha sempre trattata malissimo, mentre lei sospirava incantata dai suoi profondi occhi scuri. Ovviamente dietro l’apparente odio di lui ci sono ragioni che scopriremo con il tempo (“sono troppo pericoloso per starti vicino” “devo proteggerti ma non voglio farti del male” ecc.) e, una volta sotto lo stesso tetto come fratelli adottivi, l’inarrestabile attrazione che li lega non potrà che venire a galla, tra sguardi rubati, mani che si sfiorano e strusciatine febbricitanti durante la notte.
Sulla loro strada ovviamente i “villain” di turno: il belloccio Lionel che vorrebbe Nica e con cui Rigel continua a fare a botte, e Asia, la fidanzata del figlio defunto dei genitori adottivi dei protagonisti (ebbene sì) a cui ora piacciono un po’ troppo gli addominali del nuovo arrivato.
Il tutto condito da un immaginario faunistico/cosmico molto particolare: lui è il “lupo” cattivo delle favole, lei una “falena” che non può stargli alla larga (il suo nome, Nica, come ci viene ripetuto all’infinito è quello di una farfalla). Lui prende il nome da una stella, Rigel, ed è la luce pericolosa a cui lei non può resistere. Insomma, un’attrazione la loro segnata dal destino e impressa nei loro nomi, a cui i due non potranno che lasciarsi andare, sbaragliando nemici e concorrenza con la forza del loro amore.
Netflix e il BookTok, a cosa andiamo incontro?
Come dicevamo, quindi, Fabbricante di lacrime parte già come successo garantito, se con il termine “successo” ci limitiamo a calcolare quante persone lo vedranno e ne parleranno. Se un capolavoro del dramma romantico non ce lo saremmo mai aspettati, il film diretto da Alessandro Genovesi sembra quasi non provarci nemmeno, affidandosi ad un bacino di utenza che tanto lo vedrà comunque e ad un involontario – ma efficacissimo – passaparola negativo. Tra citazioni scult e giovani e giovanissimi che non possono che dire la loro sui social, da quando è uscito non si parla d’altro, cosa che aprirà probabilmente la strada a tanti altri adattamenti similari, dagli altri romanzi della Doom ai numerosi bestseller del BookTok, sempre in cima alle classifiche dei più venduti.
Netflix ha trovato una nicchia a cui rivolgersi con questi adattamenti, prova tangibile di quanto il potere dei social e il senso di aggregazione che ne deriva per i giovani ed i giovanissimi sia una forza da non sottovalutare, anche quando si tratta di parlar male di qualcosa. Inutile borbottare su quanto queste “storie brutte, questa letteratura di basso livello” siano sintomatiche di una generazione priva di cultura, perchè da una parte ci sono sempre state, dall’altra il megafono social funziona in entrambe le direzioni, trasformando in fenomeni anche prodotti di valore che altrimenti sarebbero finiti nel dimenticatoio (un esempio potrebbe essere il resuscitato Hazbin Hotel, che proprio grazie al passaparola sta ottenendo un successo spropositato).
Il colosso dello streaming in questo caso ha semplicemente capito dove andare a pescare per aumentare il numero di abbonati e mettere in saccoccia visualizzazioni, non ponendosi proprio il problema di creare un prodotto di qualità (cosa che ha fatto invece in altre occasioni), da una parte perché già il materiale di partenza lasciava un po’ a desiderare, dall’altra perché andare nella direzione opposta – ossia verso lo scult assoluto – poteva amplificare ancor di più la sua cassa di risonanza. È stata una decisione volontaria realizzare qualcosa di talmente brutto da risultare imperdibile? Non lo sappiamo, il risultato è però che (almeno sui social… ma non solo in una piccola nicchia) stiamo qui a parlarne.