Il film: The Second Act, 2024. Regia: Quentin Dupieux. Cast: Léa Seydoux, Vincent Lindon, Louis Garrel, Raphaël Quenard, Manuel Guillot.
Genere: commedia. Durata: 95 minuti. Dove l’abbiamo visto: al Festival di Cannes, in lingua originale.
Trama: Quattro persone si incontrano per un caffè, ma nulla è come sembra…
A chi è consigliato? Agli amanti del cinema stralunato del regista Quentin Dupieux e delle commedie francesi fatte con criterio.
Tra le recenti certezze della vita cinefila c’è il fatto che Quentin Dupieux, uno dei più prolifici cineasti francesi, assicura almeno un film all’anno. E così, dopo la doppietta del 2023 formata da Yannick e Daaaaaalì! (presentati a un mese di distanza l’uno dall’altro, il primo a Locarno e il secondo a Venezia), eccolo di nuovo pronto, per l’apertura di Cannes, con un nuovo lungometraggio, capitanato da tre dei più grandi volti del cinema transalpino contemporaneo. E per inaugurare l’edizione 2024 del grande festival c’è una certa logica nella scelta del nuovo parto creativo di un regista che si è sempre divertito a mettere a nudo le assurdità della vita e dello spettacolo, e che in questo caso, come approfondiremo nella recensione di The Second Act, mette alla berlina anche i meccanismo del cinema.
Quel maledetto caffè
The Second Act significa “il secondo atto”, e nel contesto del film è il nome di un ristorante dove si stanno recando quattro personaggi: da un lato, Florence e il di lei padre Guillaume, a cui la giovane vuole presentare l’uomo dei suoi sogni, David; dall’altro c’è proprio David, accompagnato dall’amico Willy, al quale spera di poter rifilare Florence perché lui non è minimamente attratto da lei. Ma c’è dell’altro sotto, anzi, dietro: i quattro sono attori, con gli stessi nomi dei loro personaggi, e stanno cercando di girare un film molto particolare (il dietro le quinte contiene riferimenti satirici alle recenti preoccupazioni sull’uso dell’intelligenza artificiale in ambito artistico), cosa non facile perché Willy continua a deviare dal copione e Guillaume, il cui agente gli ha appena fatto sapere che è in lizza per una parte nel prossimo progetto di Paul Thomas Anderson, è un po’ lo Stanis La Rochelle della situazione, convinto di essere al di sopra della mediocrità del sedicente cinema d’autore odierno in Europa.
Quattro personaggi in cerca d’autore
Willy è Raphaël Quenard, uno dei nuovi attori-feticcio di Dupieux e protagonista del precedente Yannick, perfettamente calato nei panni dell’outsider che si confronta con veterani del cinema, interpretati da Louis Garrel (David), Léa Seydoux (Florence) e Vincent Lindon (Guillaume), tutti disposti a mettersi in gioco con il sorriso sulle labbra e la grinta autoironica a mille. Ma a rubare la scena al quartetto ci pensa Manuel Guillot, nei panni di Stéphane, comparsa alle prime armi: un ruolo che, ironia della sorte, darà maggiore visibilità al suo interprete, che in Francia è essenzialmente noto per la sua voce, tra documentari, doppiaggio e spot televisivi, e al cinema ha solo avuto parti minori.
E poi?
La stramberia è la cifra stilistica di Dupieux da sempre, sin da quando è esploso a livello internazionale con il suo secondo lungometraggio, Rubber (protagonista un pneumatico assassino), ma da qualche anno c’è il sentore di una sorta di stagnazione creativa, ed è forse per questo motivo che, con il nuovo racconto sui quattro attori, ha scelto di affrontare di petto la questione del cinema come arte sempre più a rischio di diventare prodotto realizzato senza cuore, dalle macchine che sostituiscono le persone (“Il suo parere personale non conta”, risponde l’intelligenza artificiale a una lamentela sul set). E forse anche per questo, sbertucciando la scarsa originalità degli algoritmi digitali (con uno strato di autoironia in più perché tra i finanziatori del progetto c’è Netflix), va verso un finale un po’ buttato via, conclusione volutamente (?) indifferente dopo 80 minuti di risate che prendono di mira bersagli facili – la cancel culture in primis – ma lo fanno con ritmo e precisione, soprattutto nel corso di due piani-sequenza impressionanti nella loro apparente modestia.
La recensione in breve
Quentin Dupieux mette a nudo, con il suo solito stile, le assurdità dell'industria del cinema, con un esercizio di autoironia molto divertente ma non sempre a fuoco.
Pro
- La riflessione sul cinema contiene spunti molto interessanti
- Gli attori sono tutti perfettamente in parte
- Il tono surreale è gestito molto bene, come sempre nel cinema di Dupieux
Contro
- Il finale è un po' buttato via
- Voto CinemaSerieTV