Wish è il sessantaduesimo lungometraggio dei Walt Disney Animation Studios, un ritorno alle atmosfere fiabesche tradizionalmente associate allo studio, come abbiamo avuto modo di commentare nella nostra recensione del film. Ma è anche il film uscito per celebrare i cento anni dell’azienda che Walt Disney ha fondato il 16 ottobre 1923, e pertanto è appositamente pieno zeppo di rimandi a praticamente tutta la storia dell’unità produttiva dedicata all’animazione, già dai primi minuti che, come da tradizione per tutti i lungometraggi disneyani usciti negli ultimi dodici mesi, sostituiscono la classica sigla con un ibrido dei castelli di Cenerentola e Aurora con una sequenza che include altri elementi come le Terre del Branco de Il re leone. Quanto agli altri omaggi, ne parliamo in questo articolo che, naturalmente, include spoiler.
Il titolo
Lo stesso titolo del film è parte integrante della celebrazione, poiché allude alla stella alla quale ci si rivolge con un desiderio (wish), e più precisamente alla canzone When You Wish Upon a Star, il brano d’apertura di Pinocchio e, dagli anni Cinquanta, motivetto ufficiale della Disney in generale, prima sul piccolo schermo e poi al cinema, con l’apposita sigla contenente il castello che dagli anni Ottanta introduce tutti i lungometraggi della major salvo quelli Marvel, Lucasfilm, 20th Century Studios e Searchlight Pictures (e in passato erano esclusi anche quelli della Miramax, dal target esplicitamente più adulto). La canzone fa anche capolino nella scena post-credits, dove vediamo il nonno di Asha che la compone.
Il libro
Dopo il logo disneyano, spunta un simpatico elemento vintage: il libro di fiabe le cui pagine introducono il mondo che stiamo per vedere. Questo era un ingrediente ricorrente nei film della Disney Animation fino a metà anni Settanta, un modo carino per sottolineare l’origine letteraria (per quanto adattata molto liberamente) di molti dei film (e nel caso de Il libro della giungla l’escamotage è stato ripescato anche per il remake del 2016). In questa sede il soggetto è originale, ma la presenza di elementi narrativi familiari giustifica la finta cornice cartacea.
L’ambientazione
La storia si svolge nel regno di Rosas, su un’isola fittizia in un punto non meglio precisato del Mediterraneo. Dettaglio di per sé non presente nel canone disneyano precedente, ma presumibilmente a sua volta un omaggio all’origine europea di gran parte delle fiabe animate Disney, in particolare quelle legate alle Principesse, quasi tutte di matrice francese o tedesca (con il danese Hans Christian Andersen come ispirazione per La sirenetta e Frozen – Il regno di ghiaccio). Un aspetto che in alcuni casi ha anche influito sul casting nelle versioni originali: Jodi Benson, voce di Ariel, fu considerata anche per il ruolo di Belle, ma alla fine fu scelta Paige O’Hara perché, pur essendo americana come la collega, aveva un timbro più “europeo”.
Il cattivo
Doppiato in originale da Chris Pine, che ha l’abitudine di passare da personaggi carismatici e a figure detestabili, il re Magnifico è il classico villain disneyano, un ritorno all’ovile dopo sei film consecutivi – da Oceania a Strange World – dove non c’era un antagonista tradizionale. Ancora più significativo il fatto che la sua natura malvagia non sia un colpo di scena, come accaduto ripetutamente nei film della Disney Animation tra il 2012 e il 2016; il suo ruolo come presenza negativa è stato sottolineato nei materiali promozionali ed è evidenziato nel film stesso già nella prima scena in cui appare fisicamente.
Alan Tudyk
Per gli appassionati delle voci, una delle chicche – a patto che si guardi il film in inglese – è la presenta nel cast di Alan Tudyk, la mascotte dello studio da più di dieci anni: a partire da Ralph Spaccatutto, dove doppiava King Candy, ha avuto almeno un ruolo in tutti i lungometraggi targati Walt Disney Animation Studios, ed è apparso anche in altri progetti della major (ad esempio come voce di Iago nel remake di Aladdin e interprete di Mr. Darling in Peter Pan & Wendy). Con undici titoli all’attivo è tra i più prolifici doppiatori ricorrenti dello studio, insieme a nomi del calibro di Jim Cummings (la voce ufficiale di Winnie the Pooh dal 1988 e comprimario regolare nei film del Rinascimento Disney) e Frank Welker, artefice dei versi della maggior parte degli animali nei film usciti dal 1986 in poi. E proprio in quel reparto è Tudyk, ultimamente, a dargli del filo da torcere: nei progetti in cui non ci sono personaggi bianchi – Oceania, Raya e l’ultimo drago, Encanto – è stato rispettivamente il gallo Heihei, il pangolino Tuk Tuk e il tucano Pico. In questo film, come duplice omaggio alle sue capacità, è la capra Valentino, che ottiene il dono della parola dopo il contatto con la stella.
Gli amici di Asha
La protagonista è assistita nelle sue attività quotidiane da sette amici, le cui funzioni archetipiche si basano, ovviamente, su quelle dei sette nani del primo lungometraggio d’animazione dello studio. Per l’esattezza, gli abbinamenti sono i seguenti: Dahlia – Dotto, Gabo – Brontolo, Hal – Gongolo, Simon – Pisolo, Safi – Eolo, Dario – Cucciolo, Bazeema – Mammolo. Ancora più esplicita è la citazione nella sequenza del numero musicale nel bosco, dove due degli animali sono un orso di nome John (ossia Little John, la spalla di Robin Hood) e un cervo di nome Bambi.
Il bosco
Anche se gran parte dell’azione si svolge nel villaggio che conduce al castello di Magnifico, una sequenza importante, quella che introduce la stella senziente che si alleerà con Asha, si svolge nel bosco che diventa teatro del più ambizioso numero musicale dell’intero film. Un luogo che, esteticamente, si rifà a uno dei luoghi fondamentali de La bella addormentata nel bosco, il titolo che è stato il principale riferimento visivo per il progetto, che si presenta con uno stile che mescola tecniche tradizionali e digitali.
Lo specchio e la Fata Madrina
Per certi versi, Wish è la origin story di due elementi popolari dell’immaginario fiabesco: al termine del film, quando viene sconfitto dalla forza di volontà degli abitanti di Rosas, Magnifico si ritrova intrappolato all’interno di uno specchio, diventando essenzialmente il famoso specchio delle brame che è un’icona disneyana sin dal suo esordio come servo della matrigna di Biancaneve. Successivamente, prima di tornare in cielo, Star lascia un po’ della propria magia ad Asha dandole un’apposita bacchetta, con la quale lei diventa la Fata Madrina del popolo di Rosas, dopo essere stata inizialmente, brevemente, “apprendista stregone” per Magnifico.
Peter Pan, Mary Poppins e altri
Mentre manipola i sogni altrui, Magnifico deride le aspirazioni di due persone, con parole che alludono alle trame di Peter Pan (1953) e Mary Poppins (1964). Il primo di questi film è evocato più esplicitamente alla fine, quando Peter, raffigurato con abiti verdi, afferma di voler costruire una macchina volante. Nella medesima sequenza Valentino dice di voler creare un’utopia per gli animali, chiara allusione a Zootropolis (in inglese Zootopia). E poteva mancare un cameo di Topolino? Prima di congedarsi, la stella Star costella il cielo di fuochi d’artificio, i cui effetti creano le classiche orecchie del personaggio più iconico dello studio, e anche la mitica scia che si manifesta sopra il castello all’inizio dei vari film.
I titoli di coda
Durante i credits finali, che riprendono il font usato per i titoli di testa di Biancaneve e i sette nani, le scritte sono accompagnate da illustrazioni che ritraggono personaggi della maggior parte dei lungometraggi realizzati dai Walt Disney Animation Studios. Le omissioni principali sono i cosiddetti package films, ossia i film usciti negli anni Quaranta che, per mancanza di personale e budget a causa della guerra in corso, erano delle raccolte di cortometraggi scollegati anziché dei progetti unitari (e fuori dagli Stati Uniti, prima delle edizioni DVD e l’arrivo delle piattaforme, alcuni di questi corti uscirono proprio separatamente, soprattutto in VHS); il dittico dedicato a Bianca e Bernie (nonostante il primo film sul duo fosse stato il più grande successo commerciale dello studio nei non facili anni Settanta, dopo la morte di Walt); Taron e la pentola magica (1985), che rappresentò il culmine della crisi artistica dello studio negli anni Ottanta; e I Robinson – una famiglia spaziale (2007), altro insuccesso rappresentativo di un periodo infelice per l’azienda.