Spesso il cinema è stato visto come un luogo dove il patriarcato e la voce maschile hanno avuto possibilità quasi infinite per esprimersi. In effetti, andando indietro nel tempo, non sono molte le donne cui è stata offerta la possibilità di presentare una propria visione e, oltretutto, ricevere la considerazione di premi importanti.
Per consegnare, ad esempio, l’ambito Oscar nelle mani di una regista si è dovuto attendere addirittura il 2010. Nello specifico si è trattato di Kathryn Bigelow, premiata per The Hurt Locker. Dopo di lei, poi, sono arrivate Chloé Zhao e Jane Campion. Riconoscimenti che sono avvenuti con decenni di distanza dal primo ma che hanno iniziato a segnare, forse, un cambiamento di tendenza.
Lo stesso che nell’ultima stagione cinematografica ha assistito al successo di tre pellicole dirette, interpretate e prodotte con un chiaro tocco femminile e con l’intento di raccontare un mondo, quello delle donne, in evidente evoluzione. Una trasformazione, però, che non elude mai il rapporto con il maschile e, visto in questo senso, potrebbe presupporre la ricostruzione di una società sicuramente più equilibrata e meno arrabbiata.
Il riferimento, ovviamente, è a Barbie, diretto da Greta Gerwig, Povere Creature, prodotto ed interpretato da Emma Stone, per finire con un C’è ancora domani, che porta la firma di Paola Cortellesi e che, in modo particolare, ha la capacità di raccontare il presente attraverso il riflesso di un passato non poi così sconfitto.
Barbie, il film inaspettato
Quando è stato annunciato il progetto di realizzare un lungometraggio incentrato sulla bambola più famosa del mondo ci si aspettava, senza alcun dubbio, un’esperienza leggera e in total pink. Di certo, però, in pochi pensavano che Barbie (di cui trovate la nostra recensione) avrebbe rappresentato un viaggio dalla forma lieve ma dal contenuto importante all’interno del femminile e della sua evoluzione.
Eppure il nome di Greta Gerwig alla regia e di una donna di grande intraprendenza come Margot Robbie alla produzione, per non parlare della sua interpretazione, avrebbero dovuto suggerire immediatamente qualche cosa. Per non parlare della presenza di America Ferrera e del suo incredibile monologo così illuminante sulla faticosa quotidianità della donna. Tutti elementi che si sono rivelati, a chi ha voluto vedere, nella tranquillità della sala cinematografica e che, ad un certo punto, hanno sottratto spazio e discussione alla forza di un tour mondiale impostato sull’immagine e sul merchandising.
Perché al di là delle atmosfere idilliache, dei colori pastello e di un richiamo a ricordi d’infanzia che accomuna un numero indecifrabile di generazioni in ogni parte del mondo, Barbie ha avuto l’intento e la capacità perfettamente concretizzata di narrare un viaggio di evoluzione. Un’avventura composta dall’abbandono delle proprie sicurezze, la scoperta di un mondo spesso ignoto e minaccioso fino ad arrivare alla comprensione di una complessità mai sfiorata fino a quel momento.
la Gerwig, sostenuta dall’interpretazione della Robbie e di America Ferrera, dunque, sonda le fragilità del concetto stesso di perfezione, l’immobilità in cui l’archetipo di un ideale rinchiude il femminile e, soprattutto, l’evidente scontro con la realtà concreta. Un insieme di riflessioni all’interno del quale rientra anche il ruolo con l’altro sesso nelle vesti di un Ken in crisi d’identità. L’elemento maschile, infatti, pensa di esistere solo in funzione di una coppia o nell’esternazione di un maschilismo paradossale. Alla fine, però, la crescita che trasforma Barbie da bambola in donna coinvolge anche Ken, inducendolo a scoprire chi è veramente, al di fuori di qualsiasi preconcetto.
Povere creature, ode all’indipendenza
Ci sono autori che riescono a parlare del mondo interiore delle donne attraverso di esse con particolare efficacia. Uno di questi è, senza alcun dubbio, Yorgos Lanthimos. Il suo sguardo, infatti, aveva già indagato con curiosità all’interno dei rapporti femminili con La favorita, mettendo in evidenza un sottile gioco di supremazia disposto a non fare prigionieri ma solo vittime per ottenere il risultato desiderato.
Al di là della vicenda ambientata durante il regno della regina Anna in Gran Bretagna, il risultato è stato la definizione di una femminilità forte, dominante e disposta a lottare per la propria sopravvivenza. Una visione che, però, viene ulteriormente perfezionata e approfondita attraverso il personaggio di Bella Baxter, protagonista di Povere Creature.
Grazie all’interpretazione di Emma Stone profondamente fisica ed istintiva, Lanthimos realizza una vera e propria ode all’indipendenza e alla libertà della donna rispetto ad un mondo maschile che cerca sempre, e in modi diversi, di renderla prigioniera. Bella, infatti, è la rappresentazione stessa di un talento naturale ed ancora inesplorato per la vita. Un terreno in cui le possibilità sono infinite e possono essere sviluppate solo grazie all’esperienza e alla conoscenza.
Così, con passi stentati e barcollanti tipici di un essere nuovo alla vita, inizia a lasciare traccia del suo passaggio nel mondo diventando sempre più sicura ed autonoma. Un percorso che termina con la consapevolezza ed una conoscenza in grado di generare in Bella opinioni e visioni personali su chi la circonda e, soprattutto, sul tipo di donna che desidera essere dopo essersi affrancata dal proprio creatore e da chi non riesce a sostenere il suo spirito libero.
C’è ancora domani, il passo che riflette il presente
Chiudiamo con C’è ancora domani (di cui trovate la nostra recensione) l’esordio alla regia di Paola Cortellesi che, oltre ad aver guadagnato il biglietto d’oro, ha avuto il merito di parlare al presente attraverso l’immagine del passato per far in modo che il futuro sia diverso. La vicenda raccontata ha le dimensioni piccole, private di una quotidianità fatta di povertà, fatica e violenze domestiche come tante. Almeno come quelle che molte donne hanno vissuto negli anni a ridosso della fine della Seconda Guerra Mondiale ed anche dopo.
Una sorta di consuetudine sub culturale in cui il femminile non aveva voce e, soprattutto, non aveva coscienza di possederne una. Perché il mondo raccontato in bianco e nero dalla Cortellesi è quello di un’intera generazione di donne inconsapevoli, loro stesse, di quanto potessero valere. Ineducate a vedersi e concepirsi come degli esseri pensanti in grado di fare la differenza dentro e fuori le mura di casa. E come avrebbero mai potuto se, nel migliore dei casi, venivano sempre lasciate ai margini delle discussioni e delle decisioni?
Per questo motivo il momento più importante d tutto il film è proprio l’epilogo. Dopo aver visto il personaggio di Delia correre affannosamente per arrotondare, mettere in tavola i pasti per la propria famiglia, occuparsi di un suocere ingrato e sopportare gli scoppi d’ira di un marito rozzo, si assiste alla sua rivincita che è anche quella di tutte le donne.
La sua non è una fuga e nemmeno un’imposizione di forza quanto la più evidente e rappresentativa tra tutte le vendette possibili. Dopo aver trascorso una vita nel silenzio, Delia finalmente impone la sua voce e lo fa attraverso il voto, quello storico che il 2 giugno 1946 deciderà tra Monarchia e Repubblica. Un gesto che compie per se stessa ma, soprattutto, per la figlia Marcella, per infondere in lei la consapevolezza di esistere come individuo. Un giorno che le donne in tutta Italia hanno onorato in massa e che oggi, nel presente, dovrebbe rappresentare ancora l’essenza di una libertà possibile da ottenere e mantenere solo attraverso la partecipazione attiva, la cultura e, soprattutto, l’assenza di paura.