Da qualche giorno è arrivato su Netflix il film Il mondo dietro di te (qui trovate la nostra recensione), secondo lungometraggio del regista Sam Esmail e adattamento di un romanzo di successo, che racconta come una vacanza si tramuti in tesissimo esercizio di paranoia quando un cataclisma manda fuori uso internet e preannuncia il pandemonio più totale sull’intero pianeta. Sulla carta, niente di nuovo, perché il filone apocalittico, in un modo o nell’altro, è sempre stato popolare al cinema (seppure di solito con ambizioni più spettacolari rispetto al minimalismo impiegato da Esmail). Ma ultimamente, nel panorama americano, qualcosa è cambiato nelle scelte effettuate per mettere in scena questi scenari da fine del mondo. Vediamo come.
Imparare dagli errori
Tradizionalmente, quando c’è di mezzo la distruzione di massa, essa serve come avvertimento per lo spettatore, spesso tramite l’allegoria della fantascienza (basti pensare a Ultimatum alla Terra, dove è un alieno, Klaatu, ad avvisarci circa l’esito potenzialmente disastroso delle nostre azioni, o al franchise de Il pianeta delle scimmie, che nella sua incarnazione primigenia parlava piuttosto esplicitamente di conflitto nucleare), e anche nei casi più disperati il tono rimane piuttosto ottimista: anche quando la catastrofe non può essere scongiurata (The Day After Tomorrow), o anche solo contenuta (28 giorni dopo, il cui finale fu modificato per l’uscita in sala perché il pubblico delle proiezioni test trovava troppo deprimente quello inizialmente proposto), la conclusione tende a suggerire che non ci lasceremo abbattere, e continueremo a lottare per il bene del pianeta.
Quel fatidico giorno del 2001
Nei primi anni Duemila era lecito sospettare che il genere potesse prendere una piega più pessimista, dopo i tragici eventi dell’11 settembre 2001, una tragedia il cui impatto sull’audiovisivo è stato quasi immediato (con alcuni film usciti nei mesi successivi che hanno dovuto modificare o eliminare scene che avrebbero ricordato troppo esplicitamente l’attentato). Invece, forse non del tutto a sorpresa, la componente escapista del cinema ha avuto la meglio, a volte con pudore (nel già citato The Day After Tomorrow la città di New York viene ricoperta dai ghiacci, ma per scelta del regista gli edifici rimangono in piedi, senza crollare), e persino nell’insolitamente cupo – per gli standard del regista quando è in modalità più apertamente popolare – La guerra dei mondi di Steven Spielberg, dove gli alieni non sono più visitatori benevoli ma una forza ostile che la figlia del protagonista paragona senza giri di parole a dei terroristi, c’è la speranza alla fine di tutto. L’umanità, per quanto messa alla prova, ha quello che ci vuole per non soccombere del tutto a questi cataclismi.
E alla fine arriva Trump…
La grande svolta c’è stata a partire dal 2016, con la vittoria elettorale di Donald Trump, un uomo che ha spudoratamente dichiarato di infischiarsene di fenomeni come il cambiamento climatico o il funzionamento corretto della democrazia, con l’aggravante ulteriore della sua gestione disastrosa della pandemia di Covid-19 sul territorio statunitense. Pandemia durante la quale è uscito il romanzo da cui è tratto Il mondo dietro di te ed è iniziata la lavorazione di Don’t Look Up, la satira apocalittica di Adam McKay nata dalle frustrazioni sull’indifferenza generale che ha iniziato a crearsi nei confronti dei cambiamenti climatici.
E se in passato le commedie a tema avevano una positività di fondo, nel film di McKay prevale un cinismo tutt’altro che sottile (l’unico che si salva dall’evento catastrofico, come prima cosa, va online e chiede ad eventuali altri superstiti di mettere un like e abbonarsi al suo canale), e anche con Sam Esmail, il cui lungometraggio si chiude con immagini che ricordano l’assalto al Campidoglio nel gennaio del 2021, c’è l’impressione generale che forse, a questo giro, non meritiamo (più) di salvarci. Tra complottismi e politici che inneggiano neanche tanto velatamente a un ritorno a sistemi autocratici, a forza di scrivere sui social “Meritiamo l’estinzione” e “Quando arriva l’asteroide?”, abbiamo legittimato un’evoluzione del filone apocalittico che guarda in faccia la realtà: ha senso cercare di essere positivi (e non con la connotazione pandemica del termine)? A quanto pare no. D’altronde, perché preoccuparsi? È solo la fine del mondo…