Su Netflix è appena arrivato La società della neve, presentato come film di chiusura alla Mostra del Cinema di Venezia, il film di J.A. Bayona che racconta il vero disastro aereo delle Ande avvenuto nel 1972. Come vi abbiamo spiegato nella nostra recensione del film, la cura messa nella ricostruzione dei fatti realmente accaduti è estrema: dalla scelta dei protagonisti (tutti sudamericani, di discendenza argentina ed uruguaiana) a quella delle location, in cui la truope si è ritrovata a lavorare in condizioni veramente estreme. Come è logico immaginare, per quanto ci si sia attenuti il più possibile alla realtà, la complessità di quanto accaduto ai sopravvissuti di quella terribile tragedia non può trovare completamente spazio in un lungometraggio di poco più di due ore: le differenze tra film e storia vera sono svariate, e nell’articolo che segue abbiamo cercato di riunire ed approfondire quelle principali.
Un viaggio “accorciato”

Ne La società della neve, il viaggio del volo 571 della Forza Aerea Uruguaiana (su cui si trovavano 5 membri dell’equipaggio e 40 passeggeri) viene abbreviato per ragioni cinematografiche: da quanto vediamo nel film sembra infatti passare relativamente poco tempo tra decollo e schianto. Nella realtà, invece, a causa di una tempesta sulla catena montuosa delle Ande, l’aereo fu obbligato a fermarsi per una notte a Mendoza, in Argentina. La deviazione modificò la rotta del volo, che doveva così attraversare il passo del Planchòn e – successivamente – per Curicò (nome che sentiamo sussurrare al pilota subito prima di morire). Secondo le ricostruzioni i piloti erano convinti, erroneamente, di aver superato Curicò: le condizioni meteorologiche avverse li portarono a confondersi sulla loro reale posizione, cosa che li spinse ad iniziare la discesa per Santiago quando ancora stavano attraversando le montagne, e quindi, di conseguenza a schiantarsi.
La tappa a Mendoza non è stata inserita da Bayona nel film probabilmente per non “diluire” l’impatto emotivo dell’incidente e per non allungare ulteriormente la durata della pellicola (già 144 minuti). Detto questo, però, durante il passaggio nella città argentina avremmo potuto conoscere meglio i protagonisti, rendendo così ancor più drammatica la morte dei compagni che non sopravvivono all’impatto.
Il salvataggio

Tra le differenze più evidenti rispetto a quanto avvenne nella realtà ci sono anche le modalità in cui avvenne il salvataggio dei sopravvissuti: nel film vediamo l’arrivo di due elicotteri militari che riescono a portare in salvo i 14 passeggeri in attesa sul luogo del disastro (a guidare il salvataggio c’è Nando, che da indicazioni ai soccorsi); nella realtà, invece, furono necessarie due missioni. Nel pomeriggio del 22 di dicembre 1972 arrivarono sì due elicotteri, ma viste le condizioni meteo e l’altura, solo uno poté atterrare e, anche a causa dei limiti di peso, solo la metà dei sopravvissuti venne portati via subito. Gli altri sette rimasero in attesa di una seconda missione di salvataggio insieme a quattro membri della squadra di ricerca che si offrirono come volontari per restare insieme a loro. Gli ultimi sopravvissuti e i volontari passarono un’altra notte sulle montagne all’interno del relitto dell’aereo e vennero tratti in salvo la mattina successiva.

Anche in questo caso la scelta di Bayona è dovuta alla necessità di non diminuire l’impatto drammatico ed emotivo del momento: i sopravvissuti vengono salvati tutti insieme e la sequenza è più commuovente che mai.
Che cosa è successo ai piloti?

Il pilota dell’aereo – nel film non ci viene rivelato il suo nome, ma si trattava del colonnello Julio César Ferradas – è protagonista di una breve sequenza immediatamente dopo l’incidente, nella quale sussurra ai sopravvissuti che il volo aveva appena superato Curicò (informazione che come sappiamo era errata). Questa scena è stata aggiunta nel film per creare effetto drammatico, poiché il pilota in realtà morì durante l’impatto. Il co-pilota (il tenente colonnello Dante Héctor Lagurara), sopravvisse invece all’incidente, ma solo per circa un giorno: l’uomo rimase intrappolato nella sua poltrona e chiese ai passeggeri di prendere la sua pistola e ucciderlo, ma questi non riuscirono a portare a termine l’atto.
Il personaggio di Numa

A differenza di un altro dei lungometraggi dedicati al disastro aereo delle Ande, Alive – Sopravvissuti diretto nel 1993 da Frank Marshall, Numa Turcatti ha un ruolo molto importante nel film di Bayona, l’ultimo dei passeggeri a morire viene infatti scelto dal regista come narratore dell’intera vicenda. Nel film Numa funge da portavoce del dilemma morale vissuto dal gruppo, il ragazzo – che è molto cattolico, come diversi dei suoi compagni – esprime e racconta allo spettatore l’enorme difficoltà dell’essere costretti a nutrirsi di carne umana anche in una situazione così estrema. Lui è uno di quelli messi maggiormente in difficoltà dal necessario cannibalismo e si rifiuterà lungo di partecipare. Quando morì il ragazzo era arrivato a pesare solo 25 kg: il ragazzo si spense dieci giorni prima del salvataggio, a causa dell’aggravarsi – anche a causa della malnutrizione – di una piccola ferita alla gamba.
Quando il gruppo viene sepolto dalla valanga, che li tiene prigionieri all’interno dei resti del velivolo per alcuni giorni, nel film è Numa ad aprire il primo spiraglio verso l’esterno (procurandosi la ferita al piede che risulterà poi fatale). Nella realtà fu invece Nando a trovare la prima via di uscita, impedendo così che lui e i suoi amici morissero soffocati sotto la neve. Si tratta di un cambiamento utile a corroborare l’aurea eroica del personaggio di Numa, la cui morte, poi, risulterà per questo ancor più drammatica.
Il viaggio di Nando e Roberto verso il Cile

Tra i momenti più emozionanti del film c’è senza dubbio il viaggio di Nando, Roberto e Antonio “Tintin” Vizintín verso il Cile. Quest’ultimo decide di tornare indietro per lasciare più cibo ai compagni, aumentando così le loro possibilità di sopravvivere. Ne La società della neve ci viene detto che Nando e Roberto avevano a disposizione provviste per dieci giorni, nella realtà ne avevano però solo per tre, cosa che rese il loro viaggio verso la salvezza ancora più difficile.
Come vediamo nel film fu un’idea di Nando scalare la cima di una cresta montuosa, convinto che le rigogliosa valle cilene si trovassero dall’altro lato: il ragazzo e il compagno non conoscevano la loro precisa posizione sulle Ande (anche a causa dell’indicazione errata data inizialmente dal pilota) e per questo si ritrovarono circondati da altre montagne. Da li decisero di proseguire: nella realtà i due compagni erano però indecisi su come proseguire, Roberto indicò quella che per lui era la strada migliore, ma alla fine optarono per la rotta scelta da nando Nando. In seguito, Roberto si rese conto che la strada sarebbe stata un percorso molto più facile e li avrebbe portati più rapidamente verso la salvezza.

Anche l’incontro tra i due e l’uomo a cavallo avvenne diversamente nella realtà: dopo aver comunicato con lui ci volle quasi un giorno perché venissero a salvarli, la zona in cui si trovavano infatti era estremamente isolata. L’uomo, però, riuscì a lanciare ai ragazzi del pane, con cui riuscirono a sfamarsi fino all’arrivo dei primi soccorsi.
Che cosa succede “dopo”?

La società della neve sceglie di non raccontare tutto ciò che accadde dopo il ritrovamento dei sopravvissuti, il film si concentra sul disastro e su quello che i protagonisti dovettero affrontare nei due mesi prima di essere salvati. Quello che il film non ci dice è come i sopravvissuti affrontarono la questione del cannibalismo: inizialmente i ragazzi non confessarono quello che furono costretti a fare, ma anzi dissero di aver resistito alla fame grazie a delle razioni di cibo confezionato e del formaggio trovato tra i resti dell’aereo.
Quando poi ammisero quanto era realmente accaduto – durante una lunga conferenza avvenuta il 28 di dicembre – inizialmente subirono la reazione estremamente negativa dell’opinione pubblica, addirittura si diffuse il sospetto che i sopravvissuti avessero inventato parti della loro storia, come l’episodio della valanga, o stessero nascondendo di aver ucciso altri passeggeri. Queste accuse erano ampiamente prive di sostegno, e le acque si calmarono comunque piuttosto velocemente quando i sopravvissuti spiegarono di aver effettuato un patto tra loro ed essersi dati a vicenda il permesso di consumare i propri corpi per continuare a vivere.