Il 21 agosto, la LionsGate ha pubblicato online il trailer di Megalopolis, l’ambizioso nuovo lungometraggio di Francis Ford Coppola, già presentato a Cannes dove ha diviso i pareri (qui potete leggere la nostra recensione). Forse anche per questo, e date le tematiche del film, il marketing ha deciso di sottolineare come Coppola, un po’ come il suo protagonista Caesar Catilina, non sia sempre stato compreso dalla critica: il trailer, infatti, contiene estratti di recensioni negative, a firma di nomi autorevoli come Pauline Kael e Roger Ebert, per titoli oggi molto apprezzati come Il padrino, Apocalypse Now e Dracula di Bram Stoker. Un approccio poco ortodosso, ma tutto sommato interessante. Se non fosse che, come appurato da Bilge Ebiri sulla rivista Vulture, quelle frasi non sono veritiere, il che ha spinto la LionsGate a rimuovere il filmato e pubblicare un comunicato di scuse, raggiungendo forse un punto critico (scusate il gioco di parole) per quanto concerne il rapporto tra chi deve vendere i film e chi li analizza.
Frasi inventate
La conclusione a cui sono giunti gli internauti è che chiunque abbia montato quel trailer ha fatto uso di ChatGPT o uno strumento simile per aggregare pareri negativi sui film precedenti di Coppola, senza consultare direttamente la fonte. Uno stratagemma che mette in evidenza, qualora fosse effettivamente così, le criticità di uno strumento digitale capace di causare non pochi danni se usato nel modo sbagliato. Sono essenzialmente tre i problemi che Ebiri e altri che hanno indagato sull’accaduto hanno riscontrato: innanzitutto, l’attribuzione di pareri negativi a persone che in realtà la pensavano esattamente all’opposto (è il caso di Pauline Kael, celebre firma del New Yorker, che ha sempre amato i primi due capitoli de Il padrino; fu tiepida nei confronti del terzo, ma in ogni caso non scrisse l’affermazione che reca la sua firma nel trailer); in secondo luogo, la presenza di citazioni completamente inventate anche per chi aveva effettivamente stroncato quei film; infine, l’uso di frasi genuine, ma tratte da tutt’altra recensione (Roger Ebert disse “un trionfo dello stile sulla sostanza” ma riferendosi al Batman di Tim Burton, non al Dracula di Coppola).
Il critico inesistente
È già capitato in passato che il marketing ricorresse a stratagemmi di dubbia natura sul piano etico, come nel caso di David Manning. Se questo nome non vi dice nulla, è perché lui non esiste. Eppure, tra il 2000 e il 2001, apparve nei materiali promozionali di alcuni film della Sony/Columbia, tra cui L’uomo senza volto e Il destino di un cavaliere. Nello stesso periodo, il settimanale Newsweek indagò sul presunto uso di dipendenti della Sony come finti spettatori per elogiare Il patriota in uno spot televisivo. Questo portò ad analizzare più da vicino anche le frasi di Manning, il cui nome era legato a un piccolo settimanale del Connecticut, il Ridgefield Press. Una telefonata agli uffici della testata confermò i sospetti: Manning non esisteva, o in ogni caso non aveva mai lavorato per il settimanale. La Sony fu poi costretta a rimborsare – cinque dollari a testa – gli spettatori che sostenevano di aver visto i film in questione sulla base del giudizio positivo del critico fittizio.
Critici o troll?
Nella primavera del 2018 è uscito nelle sale americane Gotti – Il primo padrino, con John Travolta nei panni del famigerato mafioso. Stroncato all’unanimità dalla critica, il film aveva però, nei primi giorni, un numero insolitamente alto, proporzionalmente agli incassi, di commenti positivi da parte degli utenti di siti come Rotten Tomatoes. Questo, abbinato a un trailer che invitava il pubblico a non fidarsi di “troll che si nascondono dietro una tastiera” e vedere la pellicola nonostante le recensioni negative, ha portato molti addetti ai lavori a pensare che il tutto fosse una vera e propria campagna messa in atto dalla produzione (MoviePass, che è anche un servizio di biglietteria cinematografica). Campagna che si è rivelata controproducente, poiché il film ha incassato appena sei milioni di dollari in tutto il mondo ed è stato fatto notare come le frasi a effetto del marketing non avessero senso, poiché la critica, che ci mette il nome e spesso anche la faccia, non rientra nella categoria di chi si nasconde dietro la tastiera, come fanno invece spesso i sedicenti fan che attaccano con insulti personali chi ha lavorato a prodotti che non sono di loro gradimento.
Distinzione dei ruoli
Da qualche anno ormai, con l’avvento dei social e degli influencer, esiste il luogo comune secondo il quale la critica – il cui scopo è analizzare, contestualizzare, aprire un discorso – dovrebbe svolgere la stessa funzione del reparto pubblicitario, con quest’ultimo che più di una volta ha realizzato spot o locandine dove le frasi a effetto non provengono da addetti ai lavori ma da spettatori qualunque che hanno commentato su Twitter dopo aver assistito a qualche proiezione speciale in anteprima (quando Joker fu presentato a Venezia nel 2019, la Warner chiese espressamente a chi ne aveva scritto sui social se fosse possibile usare quella reazione nel marketing). È il motivo per cui Cannes, ad esempio, da due edizioni dà spazio alle star di TikTok, trattandole a volte meglio dei giornalisti che, dal 2018, non possono più vedere in anticipo i titoli del concorso perché – a quanto pare – Sean Penn si era lamentato dei pareri negativi su un suo film in concomitanza con la proiezione ufficiale.
E fin qui, nulla da ridire: saranno tattiche discutibili, ma nel pieno diritto di chi è stato incaricato di promuovere il film. Ma quando si arriva a fenomeni come un David Manning o il trailer di Megalopolis si oltrepassa un limite etico e anche legale (frode nel primo caso, diffamazione nel secondo). Ed è particolarmente controproducente con una pellicola come quella di Coppola che, con tutta la buona volontà che ci possono mettere i distributori, si rivolge a un pubblico di nicchia, ai cinefili, a coloro che aspettavano da anni che il regista portasse a compimento questo progetto. Si rivolge a persone che, leggendo i pareri della critica, possono decidere di vedere il film nonostante la recensione negativa, perché questa può comunque contenere spunti che lasciano intuire una probabile divergenza di reazioni tra giornalista e spettatore. E nel momento in cui uno si inventa un’inesistente ostilità pluridecennale tra Coppola e la stampa, il sentore, volente o nolente, è quello di una mossa disperata per difendere l’indifendibile.