William Friedkin, scomparso poche settimane prima dell’inizio dell’edizione 2023 della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, ha passato due anni a lavorare sul restauro del suo film più famoso, L’esorcista (di cui potete anche leggere la nostra recensione), con l’intenzione specifica di portarlo al Lido. Dopo un primo tentativo fallito nel 2022 per questioni di tempistiche del restauro, il regista aveva convinto la Warner Bros. ad aspettare Venezia (dove è stato presentato anche l’ultimo lungometraggio di Friedkin, il postumo The Caine Mutiny Court-Martial) prima di distribuire commercialmente – prima in sala e poi in home video – questa nuova versione 4K, parte del progetto più ampio per festeggiare il centenario dello studio. E così, in attesa della riedizione al cinema (fine settembre in Italia), la macabra e terrificante storia di Regan MacNeil, Lankester Merrin e compagnia bella ha potuto terrorizzare gli avventori del Lido all’interno della sezione Venezia Classici, cornice ideale per festeggiare il mezzo secolo di vita di una pietra miliare dell’horror.
Una nuova esperienza
Non è la prima volta che Friedkin ha rimesso mano al suo film, un’opera complessa e discussa su cui lui stesso ha continuato ad avere pensieri contrastanti fino alla fine (nel 2019, nel documentario Leap of Faith, ammetteva candidamente di non apprezzare particolarmente il finale, e di non aver deviato dal copione per amicizia nei confronti dello sceneggiatore William Peter Blatty). Nel 2000 ci fu la prima riedizione importante, nota in Italia come la versione integrale (negli Stati Uniti era, più banalmente “la versione che non avete mai visto”), con una decina di minuti in più che Friedkin aveva tagliato in parte per esigenze contrattuali e in parte per gusto personale, opponendosi alle obiezioni di Blatty. È questa versione, ormai la più conosciuta (e quella più fedele al romanzo originale), a uscire con il nuovo restauro 4K, un lavoro che sottolinea ancora una volta le notevoli qualità visive e sonore del film.
Nel primo caso, rimane sbalorditivo l’operato dei truccatori, da un lato per trasformare la giovanissima e dolcissima Linda Blair in una creatura orripilante dal volto decrepito, e dall’altro per invecchiare considerevolmente, per la parte di Merrin, l’allora quarantatreenne Max von Sydow (nota curiosa: Stellan Skarsgård, scelto per interpretare un Merrin più giovane nel prequel uscito nel 2004, aveva invece 51 anni ai tempi delle riprese). Nel secondo, anche per chi dovesse conoscere il film a memoria o quasi (pensiamo al critico inglese Mark Kermode, che lo reputa il miglior film di tutti i tempi e lo ha visto qualche centinaio di volte), il sonoro restituisce dimensioni quasi inedite, dalla musica molto minimalista – ci sono meno di venti minuti di accompagnamento musicale su due ore di lungometraggio – alla componente uditiva della trasformazione di Regan, con le varie voci che si intersecano per enfatizzare la forza corruttrice di Pazuzu.
Un orrore molto reale
A distanza di cinque decenni, l’impatto del film rimane molto forte, a dimostrazione di quanto fosse felice l’intuizione di Friedkin su come strutturare il racconto, con una tensione graduale e un approccio molto verosimile alla vita quotidiana progressivamente stravolta delle persone coinvolte nella vicenda (il paranormale in senso stretto si limita essenzialmente alla mezz’ora finale). Anche perché – ed è lì che i vari sequel hanno più volte toppato – il nocciolo della questione non è mai stata la possessione di Regan, bensì l’impatto che essa ha sugli altri, in particolare i due uomini di fede chiamati ad aiutarla e superare i rispettivi dubbi spirituali. Ed è per questo che sul grande schermo, con quegli strazianti primi piani girati da Friedkin, emerge ancora più chiaramente l’importanza del lato umano di una storia che solo sulla carta ha a che fare con il demonio.