C’era una volta Biancaneve. Letteralmente. Perché la Biancaneve di Marc Webb, scritta da Greta Gerwig, che vedremo a marzo del 2024 sul grande schermo non avrà nulla a che vedere con la favola dei Fratelli Grimm. Non ci sarà il principe e non ci saranno i sette nani, sostituiti da altrettanti personaggi di genere e etnie differenti. Resta, però, la regina malvagia che sarà Gal Gadot. Perché d’accordo l’assenza del principe salvatore (oggi le principesse sono artefici del proprio destino), ma senza la villain per eccellenza, cuore vero della storia, Biancaneve non esisterebbe.
La notizia di questo twist narrativo più moderno e inclusivo è stata confermata nei giorni scorsi tramite un’esclusiva del Daily Mail. Ed è bastata la pubblicazione delle immagini dal set in cui, appunto, si vede la protagonista, Rachel Zegler, affiancata da un gruppo di creature magiche che non sono certo i canonici sette nani, per sollevare una serie infinita di polemiche. C’è chi parla di concessione al politicamente corretto, ma la Disney preferisce parlare di scelta presa per evitare il ricorso a pesanti stereotipi.
Gli stessi preconcetti che lo scorso anno avevano fatto infuriare Peter Dinklage, la star di Trono di Spade affetta da acondroplasia. «È stata scelta un’attrice di etnia latina per interpretare Biancaneve, ma il film continua a chiamarsi Biancaneve e i sette nani? Da un lato sei progressista, dall’altro racconti ancora la solita storia retrograda del cazzo di sette nani che vivono in una caverna? Ma che stronzate sono?». Chiarissimo.
Biancaneve e la paura del cambiamento
Difficile esprimere un pensiero quando ancora non si ha a disposizione l’oggetto che scatena le discussioni. E potrà sembrare strano, ma apparteniamo a quella scuola di pensiero che dà priorità assoluta alla riuscita artistica di un film per “giudicarlo”. Alla fine il punto è solo questo: quanto queste rielaborazioni saranno in grado o meno di rendere il nuovo live action Disney meritevole di essere visto e amato.
Quello che hanno detto le ultime trasposizioni dei classici Disney, da Pinocchio a La sirenetta, non è confortante in termini di pathos e genuinità. La speranza, chissà quanto motivata, è che la lezione sarà stata assimilata per allora. Insomma, più che indignarci per una Biancaneve di origini colombiane e per la mancanza dei suoi piccoli amici, vorremmo che la storia ci portasse a riflettere in maniera nuova su un personaggio. E che soprattutto questo personaggio un filo derelitto abbia, per quanto possibile, cose nuove da dire.
Una storia da paura
In assoluto, dunque, non siamo contrari alle rielaborazioni, anche quelle più spericolate e insolite, delle favole della tradizione. Le quali, beninteso, sono spesso e volentieri delle angoscianti rappresentazioni della realtà e delle vite degli stessi autori. Come potremmo osteggiare il rimaneggiamento di una storia quando questa per prima arriva a noi già edulcorata.
Tanto per dire, le varie versioni della fiaba dei Grimm toccano argomenti controversi come necrofilia, cannibalismo e infanticidio. E come potremmo mai impedire l’aggiornamento di una novella quando la società e la sensibilità collettiva mutano alla velocità della luce? Basti guardare all’uso di certe parole e al modo in cui la lingua stessa si trasforma.
Politicamente corretto o marketing?
L’unica discriminante, quindi, deve essere relativa a come la nuova rilettura venga resa. Se essa sia fluida, naturale e non posticcia. In sintesi, se sia autentica e non una banale questione di marketing culturale. Sostenuta dal bisogno, puramente commerciale, di andare dove il vento soffia, per accattivarsi le simpatie di tutte le minoranze. In tal senso, un valore rilevante lo avrà la sensibilità autoriale della Gerwig, che dopo Barbie si appresta a raccontare un’altra gigantesca icona femminile. Certamente meno rivoluzionaria e pop, ma lo stesso potente. Se da un lato quindi si prova a forzare certi limiti narrativi, dall’altro si cercano punti d’aggancio con il film e la storia originale.
Rachel Zegler è ispanica, ma in costume è il clone perfetto dell’eroina del capolavoro del 1937. Così come “perfette” erano Cenerentola, Belle, Jasmine, Ariel e compagnia. Perché non dobbiamo dimenticare una cosa: questa è pur sempre (solo) una Biancaneve Disney e non LA Biancaneve dei fratelli Grimm. C’è un marchio di fabbrica ingombrante, dunque, sulla sfortunata principessa in fuga dalla matrigna violenta. E Disney, cercando un equilibrio impossibile, gioca secondo le sue regole, sul suo campo e col suo pallone.
Il problema, allora, non è tanto l’aderenza o meno di un film a una storia classica, quanto il fatto di considerare quella Disney come l’unica versione possibile. Portatrice di una verità narrativa assoluta che nella realtà non esiste. E il fastidio che il pubblico prova davanti a certe rivoluzioni è lo stesso che percepisce quando sulle bancarelle di libri trova un volume della fiaba illustrato in un’altra maniera. Così diversa da sembrare falsa. Eppure, ogni storia, ogni favola, può e deve cambiare. Possibilmente in meglio.