Nel contesto dei grandi festival cinematografici, il mese di luglio per molti è soprattutto quello degli annunci: i programmi di Locarno, Venezia e Toronto, promesse di grandi cose in arrivo alla fine dell’estate e in vista della stagione autunnale nelle sale oscure. Ma è anche il mese di Karlovy Vary, evento che si svolge nell’omonima città termale in Repubblica Ceca, per decenni uno degli appuntamenti più importanti per il cinema di ciò che un tempo era il blocco sovietico, una kermesse molto autoriale che però non perde d’occhio il glamour, principalmente con appositi premi alla carriera che omaggiano grandi star hollywoodiane o comunque del cinema in lingua inglese (quest’anno Alicia Vikander, Russell Crowe, Ewan McGregor e Robin Wright). E poi anche i classici del passato, le nuove tendenze, i film di mezzanotte. Insomma, una kermesse che cerca di esplorare la settima arte a 360 gradi, nel contesto di una città suggestiva che ha avuto il suo impatto su pellicole come The Grand Budapest Hotel (la cui fittizia nazione europea si ispira esteticamente al centro storico di Karlovy Vary) e Casino Royale (la partita a poker è stata girata all’interno dell’Hotel Pupp, uno dei luoghi strategici del festival).
Un evento che si trasforma
Fino al 2021 il festival aveva, al fianco del concorso principale, una seconda sezione competitiva chiamata East of the West, sostanzialmente una panoramica del meglio delle produzioni contemporanee provenienti dai paesi un tempo sotto il dominio sovietico, il modo ideale di proporre al pubblico titoli rappresentativi di cinematografie che fuori dal circuito festivaliero tendono ad avere scarsa visibilità. Nel 2022 il secondo concorso è stato reinventato e ribattezzato Proxima, aprendosi a film di qualunque nazionalità e mettendo l’accento sui cineasti emergenti (con qualche eccezione, come per esempio l’inclusione, quest’anno, dello svizzero Thomas Imbach, attivo nel cinema dagli anni Ottanta). Una scelta per certi versi controproducente, perché già di suo il duplice concorso a Karlovy Vary è, forse inevitabilmente, la parte più debole, dovendo per regolamento accettare solo pellicole in prima mondiale o internazionale e collocandosi cronologicamente tra Cannes e il duo della tarda estate che è Locarno e Venezia. Ma al netto di questo elemento, che comunque non impedisce alla kermesse di attirare titoli molto interessanti (su tutti la commedia svedese The Hypnosis, premiata per la migliore interpretazione maschile), è soprattutto l’addio a East of the West che si è fatto sentire, perché con esso se n’è andato un pezzo importante dell’identità dell’evento.
Il meglio di tutto
Al di fuori dei due concorsi, Karlovy Vary è un punto di riferimento cinefilo per chi vuole recuperare i titoli più interessanti dei dodici mesi precedenti, da Venezia a Cannes passando per Berlino e Toronto, con sale gremite per opere come Sur l’adamant, Fallen Leaves, Anatomy of a Fall e Sisu – L’immortale, quest’ultimo parte della sempre apprezzata sezione dei film di mezzanotte, una rassegna di pellicole d’azione, horror e di fantascienza che hanno fatto il giro dei festival, con occasionali omaggi al passato come quello a Bruce Lee, a cinquant’anni dalla scomparsa, con la trasferta romana – dove si scontra con Chuck Norris – de L’urlo di Chen terrorizza anche l’occidente (1972). Appuntamenti che portano il pubblico in giro per il mondo e confermano la potenza e validità dei festival cosiddetti “di seconda fascia”, che non si avvalgono per forza dell’esclusività e contribuiscono in maniera importante al ciclo vitale di pellicole che hanno già conquistato gli spettatori – e a volte anche le giurie – in altre occasioni.
Cinefilia, portami via
Come spesso capita nei festival, le sale si riempiono per qualsiasi film, a qualunque ora del giorno. Un dettaglio molto apprezzato da Joseph Fahim, consulente internazionale della kermesse e curatore della retrospettiva, dedicata quest’anno al cineasta giapponese Yasuzo Masumura con una dozzina di titoli restaurati in vista del centenario della sua nascita nel 2024. “Grazie per esservi alzati presto per un film assolutamente folle”, è la frase con cui ha accolto il pubblico in occasione di una delle proiezioni mattutine, e al netto dell’aggettivo qualificativo è effettivamente rincuorante, ogni anno, vedere gli spettatori in fila fuori dai cinema già alle 8 del mattino, e tra gli esempi più significativi di questo possiamo menzionare il primo di tre slot, nella sezione Out of the Past (restauri vari e documentari sul cinema), dedicato a Una claustrocinefilia, l’autoritratto con cui il critico cinematografico Alessandro Aniballi ha fatto i conti con il proprio rapporto con il cinema nel contesto del primo anno della pandemia. Un sentimento condiviso da molti dei presenti in sala, e se ora possiamo dire che il virus di tre anni fa è un ricordo per lo più lontano, il morbo del cinema è tutt’altro che scomparso, e per lui vale la pena tornare a rinchiudersi. Ma questa volta in compagnia.