Le edizioni della Berlinale sotto la direzione artistica di Carlo Chatrian sono tutte state caratterizzate da qualche tipo di impedimento logistico: nel 2020, con i lockdown europei dietro l’angolo, il festival faceva i conti con la chiusura definitiva del CineStar, location importante per le proiezioni, quella provvisoria dell’Arkaden (oggi The Playce), centro commerciale dove gli accreditati erano soliti nutrirsi al volo tra un film e l’altro, e il parziale malfunzionamento della metropolitana, fondamentale per raggiungere alcune delle sale della kermesse; nel 2021, in piena pandemia, l’edizione numero 71 è stata spezzata in due, con una parte interamente digitale per gli addetti ai lavori nel mese di marzo e una in presenza, all’aperto, per il pubblico pagante nel mese di giugno; nel 2022, con il vaccino disponibile ma con la variante Omicron a fare danni ovunque, c’è stata la capienza dimezzata nelle sale, l’assenza fisica del mercato del film e l’obbligo di tampone quotidiano per i professionisti (mentre il pubblico era esentato qualora munito di terza dose).
Nel 2023 è tornato il problema (in realtà minore, ma pur sempre presente) dei mezzi di trasporto, unito a un ridimensionamento dei luoghi a disposizione per le proiezioni (il CinemaxX, situato nel centro nevralgico del festival a Potsdamer Platz, era utilizzabile solo per le proiezioni stampa perché alcune delle sale erano in fase di ristrutturazione, e due delle location storiche – il Friedrichstadt-Palast per le proiezioni di gala fuori concorso e lo Zeughauskino per le retrospettive e gli omaggi – non erano proprio contemplate quest’anno), che potrebbe continuare: stando alla rivista americana The Film Verdict (disclaimer: il sottoscritto è tra i collaboratori), gira voce sulla possibile chiusura del Cubix, le cui nove sale nel cuore di Alexanderplatz sono una meta fondamentale per chi segue determinate sezioni della kermesse. La trasformazione è continua, mentre il festival cerca di tornare alla normalità.
Il ritorno nelle sale
A differenza di Cannes, che si rivolge per scelta agli addetti ai lavori e non ha molte proiezioni aperte al pubblico pagante, e Venezia, che gli spettatori tradizionali ce li ha ma rimane un evento molto isolato per la sua ubicazione sull’isola del Lido, la Berlinale ha la particolarità di rivolgersi veramente a un bacino di utenza il più ampio possibile, portando i film in ogni parte della capitale tedesca. È il motivo per cui, come dicevamo in apertura, nel 2021 la componente industriale era dirottabile online ma quella pubblica no. Ed è anche la prima cosa che il festival ha sottolineato nel consueto bilancio dei primi giorni: la mattina del 22 febbraio, settimo degli undici giorni di kermesse, era già stata superata la soglia del 150.000 biglietti venduti, battendo quindi il totale del 2022 (156.472) quando i posti in sala erano dimezzati. Difatti, a evento concluso, il totale era di 320.000 biglietti, poco meno dei 330.000 della prima annata di Chatrian, quel 2020 non ancora segnato dalle misure anti-Covid.
Un numero che si avvicina anche a quello delle edizioni capitanate da Dieter Kosslick, rispetto alle quali è stato ridotto il numero di film (dai circa 400 delle annate di Kosslick siamo passati a 340 sotto Chatrian, con un’ulteriore riduzione a 200 o meno nelle due annate pandemiche). E forse non è un caso che quel primo comunicato incoraggiante sia arrivato la mattina dopo la consegna dell’Orso d’oro alla carriera a Steven Spielberg, un cineasta che di rapporto con il pubblico si intende, e che al pubblico berlinese ha regalato in anteprima nazionale il bellissimo The Fabelmans, corredato da una piccola retrospettiva di altri titoli della sua filmografia, tutti molto ambìti dagli avventori della Berlinale (chi scrive ha assistito in prima persona a proiezioni sold out per I predatori dell’arca perduta e Lo squalo).
Un evento che, come il duplice omaggio al centenario della Disney, con la proiezione della copia restaurata di Cenerentola (che nel 1951 fu tra i film selezionati alla prima edizione del festival) e un programma di cortometraggi, ha dimostrato che se si riesce ad attirare il pubblico, non ci sono Netflix, Prime Video e Disney+ che tengano: anche se i titoli sono reperibili in streaming, il fascino del grande schermo è tutt’altra cosa. Lo ha ribadito anche il presidente della Walt Disney Animation, Clark Spencer, rassicurando gli spettatori circa il destino del prossimo lungometraggio dello studio, Wish: “Uscirà solo al cinema.”
Il trionfo della realtà
Come ogni anno, la Berlina cerca di essere uno spaccato di tutto quello che il cinema sta producendo, con un ventaglio di offerte il più ampio possibile. In tal senso, la maggiore apertura del concorso principale a generi e modalità espressive come la commedia (BlackBerry), l’animazione (Suzume e Art College 1994) e il thriller (Limbo e Till the End of the Night) è stato un segnale incoraggiante, anche se in altri ambiti la corsa all’Orso d’oro rimane molto conservatrice. Lo evidenzia il trionfo di Sur l’Adamant, che è un bel film, semplice ma potente, capace di sottolineare ancora una volta la forza drammaturgica del documentario e dare il giusto risalto a un cineasta affermato ma comunque un po’ di nicchia come Nicolas Philibert; ma è anche l’ennesimo esempio di come il cinema del reale sia ammesso solo eccezionalmente nei concorsi principali dei festival (Venezia tendenzialmente seleziona solo un documentario tra i papabili per il Leone d’oro, mentre Cannes tende a relegare l’intera categoria alle sezioni non competitive). Claire Simon, che ha portato Notre corps nella sezione Forum, si è pubblicamente lamentata di questo, e anche The Echo, acclamato e premiato all’interno di Encounters, avrebbe meritato la vetrina più prestigiosa.
Cinema giovane
Forse più significativa di tutte le scelte fatte per l’edizione 2023 è stata l’impostazione della retrospettiva, organizzata come sempre dalla Deutsche Kinemathek. Laddove solitamente è il curatore Rainer Rother, in collaborazione con il direttore artistico, a selezionare i titoli in caso di rassegna tematica (come quella sulla fantascienza nel 2017 o i vari cicli sulle ere del cinema tedesco), in questo caso, per l’argomento del coming of age, è stato chiesto a diverse personalità del cinema di scegliere il loro film preferito in tale ambito. Un’ampia gamma di titoli, diversificata per periodo storico e provenienza geografica, all’insegna del principio che siamo tutti giovani dentro: Young at Heart, come recita il titolo della retrospettiva stessa.
Una dichiarazione d’intenti da parte del festival, che ha spento 72 candeline e rimane fedele a certi elementi della propria Storia ma cerca anche, costantemente, di rinnovarsi al fine di stare al passo coi tempi per quanto concerne l’evoluzione dell’audiovisivo. E ora che le restrizioni sanitarie sembrano essere diventate un lontano ricordo, l’auspicio è che questo spirito giovane rimanga in vigore per le edizioni a venire.